Lettere al direttore – La storia dell’impianto di Bocche di Forli vista da Danilo Desideri
Riceviamo e pubblichiamo una lunghissima “memoria” scritta da Danilo Desideri, docente in quiescenza dell’Istituto Patini – Liberatore di Castel di Sangro. Un suo personalissimo focus sull’impianto di compostaggio di Bocche di Forli, frutto di ricerche personali e opinioni delle quali si assume – come ci ha dichiarato – responsabilità morali e di altra natura.
“Questo rapporto è stato scritto per i Cittadini dell’Alto Sangro e dell’Altopiano delle Cinque Miglia. Sarò grato a chiunque vorrà dare un contributo a questo rapporto con fatti e circostanze che io ignoro ed anche con valutazioni , interpretazioni , giudizi che non concordano con quanto riportato in questa relazione . Inoltre sono a disposizione per qualsiasi chiarimento.”
Forse il rapporto è troppo lungo, inoltre c’è qualche ripetizione di troppo ; Vi prego di non farci caso e di leggerlo fino alla fine.
BOCCHE DI FORLI : UN DISASTRO INFINITO
Qualche informazione sull’impianto di riciclaggio dei rifiuti di Bocche di Forli e sulla societa AltoSangroAmbiente s.r.l. o ASA
PARTE PRIMA: PERIODO 1995-2009
L’impianto ha trattato solo i rifiuti indifferenziati dell’Alto Sangro
gestione dell’impianto: SLIA dal 1995 al 2006; ASA dal 2006 al 2009
L’impianto di Bocche di Forli, di proprietà della Comunità Montana dell’Alto Sangro e dell’Altopiano delle Cinque Miglia , è situato nel territorio di Castel di Sangro al confine col comune di Rionero Sannitico ; è stato realizzato tra il 1989 ed il 1994 ; ha funzionato dal 1995 fino ad agosto 2015 ; dal 1995 al 2006 è stato gestito dalla società SLIA, costruttrice dell’impianto, e dal 2006 ad agosto 2015 dalla societa AltoSangroAmbiente s.r.l. o ASA di proprietà al 51% della Comunità Montana e al 49% del socio privato SLIA.
Questa prima parte si riferisce al periodo che va dal 1995 al 2009.
L’impianto è stato progettato e costruito dalla società SLIA di Roma ma gran parte dei lavori di costruzione dell’impianto , inclusi tutti quelli edili in subappalto , sono stati realizzati dalla ditta MIC di Castel di Sangro.
La società SLIA col passare degli anni ha cambiato nome, prima Enerambiente e poi Enertech, fallita recentemente, ma nel proseguo di questa relazione verrà indicata sempre con la denominazione SLIA.
Ad agosto 2015 l’impianto è stato chiuso dalla Regione Abruzzo per gravi violazioni delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro comunicate anche alla Procura di Sulmona .
L’impianto di Bocche di Forli é costato complessivamente, insieme alla discarica di servizio, 15 miliardi di lire ; circa 13 miliardi e mezzo di lire l’impianto con un finanziamento FIO e circa un miliardo e mezzo la discarica con un finanziamento di altro tipo. La discarica era stata costruita a servizio esclusivo dell’impianto come deposito dei sovvalli cioè gli scarti di lavorazione dello stesso impianto.
L’impianto può trattare fino 60 tonnellate di rifiuti al giorno e circa 15600 tonnellate all’anno ma secondo dati di ASA si potrebbe arrivare a 18000 – 20.000 tonnellate l’anno .
La quantità media di rifiuti, dei comuni della Comunità Montana, che l’impianto avrebbe dovuto trattare , era stata fissata a 7500 tonnellate l’anno nella gara di appalto, indetta nel 1988 , per la costruzione dell’impianto.
Esso è stato costruito per trattare i rifiuti indifferenziati dei comuni della Comunità Montana dell’Alto Sangro e delle Cinque Miglia .
Il capitolato d’appalto, relativo alla costruzione dell’impianto e alla sua gestione triennale , ed il progetto della società SLIA, costruttrice dell’impianto, stabilivano espressamente che :
- lo scopo principale dell’impianto era la produzione di compost da ottenere da rifiuti indifferenziati
- il compost prodotto doveva essere venduto agli agricoltori italiani.
- la vendita di compost doveva produrre ricavi consistenti e tali da ridurre i costi di gestione dell’impianto
- gli scarti di lavorazione dovevano essere depositati nella discarica adiacente
Però il compost prodotto è risultato inutilizzabile in agricoltura ed invendibile. Quindi l’impianto era venuto meno alla funzione per la quale era stato costruito e quindi doveva essere chiuso subito dopo l’apertura. In questo modo si sarebbero risparmiati tutti i costi sostenuti durante gli anni di funzionamento dell’impianto che invece sono stati fatti pagare dai cittadini della Comunità Montana.
I rifiuti indifferenziati portati all’impianto venivano lavorati ed in parte trasformati in compost e gli scarti di lavorazione(carta,vetro,plastica), chiamati “sovvalli” depositati nella discarica adiacente .
Circa il 30% dei rifiuti poteva essere trasformato in compost, circa il 30% erano i sovvalli , circa il 40% erano perdite per fermentazione e di rilascio di umidità delle sostanze organiche e circa l’1% il materiale metallico recuperato dai rifiuti.
I sostenitori della costruzione dell’impianto: il Centro Studi di Microbiologia di Roma, società consulente della Comunità Montana , i politici di ogni colore dell’Alto Sangro e la ditta SLIA , affermavano che il compost prodotto sarebbe stato richiestissimo e ciò avrebbe generato notevoli ricavi riducendo in modo consistente i costi di funzionamento dell’impianto.
La SLIA aveva dichiarato nella sua offerta all’appalto-concorso che il costo annuale di gestione dell’impianto (spese per personale formato da 5 operatori , energia elettrica, carburanti, lubrificanti etc etc) sarebbe stato di circa 450 milioni di lire a cui però dovevano essere sottratti i ricavi per la vendita del compost pari a circa 225 milioni; il costo netto della gestione annuale sarebbe stato di circa 225 milioni ; dividendo quest’ultimo valore per 7500 tonnellate di rifiuto conferito in un anno all’impianto si ricava il costo medio di lavorazione pari a lire 30.000 la tonnellata di rifiuto; tale costo comprendeva tutte le fasi della lavorazione del rifiuto, compresi la produzione di compost e il deposito degli scarti nella discarica .
Grazie al basso costo di 30.000 lire a tonnellata , dovuto al numero ridotto di personale impiegato (5 operai) ed ai ricavi dalla vendita del compost, la SLIA ottenne l’appalto; infatti la commissione aggiudicatrice , mettendo in evidenza il basso costo di gestione, assegnava il massimo punteggio alla SLIA che , postasi così in testa alla graduatoria dei concorrenti che avevano partecipato alla gara di appalto, vinceva l’appalto per la costruzione e la gestione triennale dell’impianto.
Inoltre era previsto che , a discrezione della Comunità Montana , la gestione potesse essere prorogata di un altro anno allo stesso costo di gestione di lire 30.000 la tonnellata.
La BEI, Banca Europea degli Investimenti, erogatrice dei fondi FIO, aveva preteso però, prima del finanziamento di circa 13 miliardi e mezzo di lire, una relazione specifica sull’indagine di mercato relativa alla vendita di compost prodotto dall’impianto ; una relazione molto approfondita fu fatta dal Centro Studi di Microbiologia e dalla SLIA ; in essa si metteva in evidenza la facilità di vendita del compost e si elencavano le numerose società, tra cui la stessa SLIA , che lo smerciavano in Italia.
Si presume che grazie a tale relazione, trasmessa anche alla Regione Abruzzo, la BEI abbia concesso il finanziamento.
La SLIA iniziò la gestione obbligatoria dell’impianto il 28-6-1995 ; per contratto essa doveva durare 3 anni con l’eventuale proroga di un ulteriore anno a discrezione della Comunità Montana , sempre al costo di 30.000 lire la tonnellata di rifiuto. Però la gestione obbligatoria, per decisione della giunta esecutiva, ebbe termine l’8-4-1997 con il costo portato subito a 85.000 lire la tonnellata e poi nel 1998 a 130.000 lire la tonnellata . La gestione obbligatoria al costo di 30.000 lire la tonnellata poteva durare quattro anni ( tre da contratto + uno facoltativo ) ed invece viene ridotta a due anni con un evidente aggravio dei costi. Perché c’era tutta questa fretta di anticipare il termine di scadenza della gestione obbligatoria? Il costo annuale della gestione passò da 225 milioni ad un miliardo di lire ; il costo per tonnellata aumentò più del quadruplo .
Si ignorano le tariffe successive al 1998 in quanto non è stato possibile conoscerle.
La gestione triennale dell’impianto aveva la funzione di avviarlo e di formare il personale cosicché una una volta conclusa la gestione SLIA, l’impianto potesse essere gestito direttamente dalla Comunità Montana. Allo scadere dei due anni, la Comunità Montana non prese in gestione direttamente l’impianto per una serie di lungaggini burocratiche e prorogò la gestione SLIA fino al 2006.
Dopo la gestione SLIA dal 1994 al 2006, l’impianto è stato gestito dalla società ASA fino alla chiusura ad agosto 2015.
L’impianto ha prodotto nel corso degli anni del compost molto scadente, invendibile, anch’esso depositato in gran parte nella discarica. Il compost era di qualità scadente forse perché derivato da rifiuti indifferenziati e non dal solo organico, unico materiale adatto per produrre il compost utilizzabile in agricoltura; però secondo le specifiche fissate nella gara d’appalto, i consulenti del Centro Studi di Microbiologia di Roma e la SLIA, l’impianto così concepito e realizzato avrebbe dovuto funzionare perfettamente con i rifiuti indifferenziati fornendo, nel contempo, un compost da usare in agricoltura.
La produzione di questo compost inutile, smaltito per la maggior parte nella discarica adiacente, si è protratta dal 1995 fino al 2009 e non ha prodotto nessun ricavo.
Desta perplessità il comportamento della Comunità Montana dal 1995 in poi del tutto disinteressata ai costi di gestione dell’impianto. Infatti terminata la costruzione nel 1994 ed iniziata la gestione SLIA nel 1995, l’impianto iniziò a funzionare con i rifiuti indifferenziati ma il compost prodotto non si vendeva , non produceva i ricavi promessi dalla SLIA e veniva smaltito nella discarica. Era un obbligo della Comunità Montana far rispettare alla SLIA le clausole contrattuali che imponevano che l’impianto producesse compost di qualità, che ci fossero ricavi dalla vendita del compost e che i costi di gestione effettivi dell’impianto fossero di £ 30.000 a tonnellata ; invece la Comunità Montana non fece nulla.
La Comunità Montana avrebbe dovuto citare in giudizio la SLIA per inadempienze contrattuali e chiedere i relativi risarcimenti con la restituzione dell’intera somma spesa per la costruzione dell’impianto considerato che lo stesso impianto non era in grado di fornire le prestazioni garantite nell’offerta all’appalto concorso.
Si puntualizza che se l’impianto non era in grado di produrre compost da usare in agricoltura e tale da essere venduto, lo stesso impianto doveva essere chiuso nel 1995 appena dopo l’inizio del suo funzionamento; però la chiusura avrebbe prodotto scalpore e sicuramente ci sarebbero stati esposti e indagini della magistratura. La Comunità Montana fece finta di nulla, e per mettere tutto a tacere, consentì che l’impianto continuasse a funzionare ; il suo funzionamento inutile è costato una cifra enorme durante la sua attività inutile protrattasi per circa 15 anni (1995-2009) per trattare i rifiuti indifferenziati dei comuni dell’Alto-Sangro. Dal 2009 fino alla chiusura del 2015 ha lavorato l’umido di altri territori e non più i rifiuti dell’Alto Sangro e questa fase è descritta della terza parte di questo rapporto. Sempre a partire dal 2009, l’impianto non potendo più lavorare i rifiuti dell’Alto Sangro, ha svolto anche il compito di deposito transitorio di detti rifiuti denominato TRASFERENZA e questa fase è descritta nella seconda parte del rapporto.
L’attività inutile consisteva nel lavorare i rifiuti per produrre un compost che veniva successivamente buttato in discarica; chiudendo l’impianto non c’erano più i costi di gestione della lavorazione dei rifiuti. I rifiuti portati all’impianto potevano essere buttati direttamente in discarica con costi molto ridotti . Invece la Comunità Montana accetta che il costo di gestione passi da lire 30.000 a tonnellata, previsto nell’appalto, a 130.000 lire due anni prima che scadesse la gestione obbligatoria .
Con l’impianto chiuso, il costo di gestione dei rifiuti sarebbe stato molto più basso ; c’era solo quello per sistemare i rifiuti nella discarica. Con l’impianto chiuso i cittadini dell’Alto Sangro non avrebbero pagato nemmeno il costo di gestione di £ 30000 a tonnellata ma solo quello per sistemare i rifiuti nella discarica.
Si mettono in evidenza i seguenti punti anche se alcuni di essi sono già stati trattati :
- L’impianto era stato costruito per un determinato scopo, produzione e vendita di compost, che non è stato mai raggiunto ; dilapidati 13, 5 miliardi di lire. La Comunità Montana, per inspiegabili motivi, non cita in giudizio la SLIA per inadempienza contrattuale.
- L’impianto ha prodotto nel corso degli anni del percolato che è stato trasportato in altri siti con costi di centinaia di migliaia di euro. La produzione di percolato con il relativo costo non era stato indicato o previsto nel progetto della SLIA ; l’aver trascurato questo problema nella progettazione dell’impianto e non averlo dichiarato nell’offerta all’appalto concorso tra i costi di gestione dell’impianto è stata una mancanza grave ; in ogni caso la Comunità Montana avrebbe potuto denunciare la SLIA per inadempienza contrattuale.
- ha funzionato inutilmente per 15 anni . Considerato che il costo giornaliero dell’impianto era di circa 3000 euro, il costo annuale era circa un milione di euro ; in quindici anni buttata via una somma intorno ai 15 milioni di di euro, pagata dai cittadini della Comunità Montana,
- La Comunità Montana che aveva l’obbligo di chiudere l’impianto e citare in giudizio la SLIA non ha fatto nulla !!!
- Tutti i politici dell’Alto Sangro che hanno ricoperto cariche nella Comunità Montana , le Conferenze dei Sindaci , gli amministratori di ASA, scelti tra i politici dell’Alto Sangro, che si sono succeduti nella gestione operativa dell’impianto di Bocche di Forli non si sono accorti di nulla !!
- La Regione Abruzzo che partecipò alle procedure per il finanziamento dell’impianto non si è accorta di nulla e di conseguenza non ha fatto nulla !!!
- La Direzione dei Lavori non si è accorta di nulla!!!!
- La Banca Europea degli Investimenti o BEI che finanziò l’impianto non si è accorta di nulla e di conseguenza non ha fatto nulla
- Appare perlomeno discutibile il comportamento della commissione collaudo : nella relazione ( 20/03/2000) firmata dai collaudatori è riportato : “ omissis : le opere risultano funzionanti e rispondenti agli scopi per le quali sono state progettate “. Le opere realizzate dovevano servire a produrre compost di qualità e, visti i risultati, non hanno in nessun modo raggiunto l’obiettivo per il quale erano state costruite.
- L’impianto non poteva superare il collaudo.
- Dopo un certo tempo, la discarica si sarebbe riempita progressivamente con i sovvalli . Aver depositato il compost nella discarica ne ha accelerato il riempimento e ne ha dimezzato la vita utile. Con la discarica piena si è stati costretti a trovare altri siti (per esempio l’impianto del COGESA) per lo smaltimento dei sovvalli e tale operazione , considerando anche il trasporto , ha avuto costi notevoli pagati dai cittadini dell’Alto Sangro. Per quale motivo i cittadini dell’Alto Sangro si sono dovuti accollare questi costi che invece dovrebbero essere imputati ai responsabili della cattiva gestione dell’impianto ?
- Dalla delibera n.49 del 26-7-2002 della Giunta Esecutiva della Comunità Montana si legge :
- “La SLIA deve procedere alla consegna dell’impianto alla Comunità Montana per la successiva consegna ad ASA. Tale passaggio prevede una verifica tecnica e amministrativa sull’impianto in modo da valutarne la consistenza rispetto al momento dell’avvio da parte di SLIA. Viene nominato l’ing. ******* come tecnico esperto per procedere alla riconsegna dell’impianto per conto della Comunità Montana. La procedura è necessaria per l’affidamento dell’impianto ad ASA “.
- Si presume che tale verifica sia stata presentata visto che poi l’impianto è stato affidato ad ASA . Una verifica obbiettiva avrebbe messo in risalto che l’impianto non forniva le prestazioni stabilite nella gara d’appalto.
- Purtroppo non è stato possibile leggere la relazione sulla verifica .
- I fondi FIO della BEI avevano questo significato :
- Fondi per l’Innovazione e l’Occupazione; l’Innovazione veniva fatta lavorando la “monnezza” e l’Occupazione sostenuta spendendo 13,5 miliardi di lire per occupare cinque persone nell’impianto; un posto di lavoro costava ben 2700 milioni di lire.
- Se l’impianto era così innovativo per le tecnologie impiegate da meritare un finanziamento di 13,5 miliardi di lire, la Comunità Montana, la Regione Abruzzo e la BEI avrebbero dovuto aumentare i controlli e le verifiche sul funzionamento dell’impianto in modo da valutare il reale valore delle innovazioni proposte che potessero giustificare il finanziamento erogato ; invece non è stato fatto nulla !!!!!
- Non si riesce a concepire come la BEI, con la collaborazione della Regione Abruzzo, abbia potuto finanziare una iniziativa così sballata : fasulla per quanto riguarda l’innovazione e ridicola per l’esiguo numero di persone occupate.
- Come minimo desta perplessità la posizione del Centro Studi di Microbiologia : era consulente della Comunità Montana e contemporaneamente aveva collaborazioni con la SLIA. Un paio di anni prima dell’appalto concorso aveva presentato su incarico della Comunità Montana un progetto esecutivo dell’impianto di Bocche di Forli del tutto simile a quello presentato poi dalla SLIA all’appalto concorso. Viene naturale pensare che il progetto presentato dal Centro Studi fosse stato redatto proprio dalla SLIA . Il Prof. ******* del Centro Studi di Microbiologia fece parte della commissione aggiudicatrice ; forse sarebbe stato più opportuno che la Comunità Montana non lo avesse inserito in tale commissione o che lo stesso professore dichiarasse la sua posizione alla commissione in modo che quest’ultima potesse valutare se ci fosse un eventuale conflitto di interessi.
- La Comunità Montana non si accorse che il progetto presentato dalla SLIA era identico a quello presentato due anni prima dal Centro Studi .
Le note precedenti sono state ricavate dalla lettura di documenti presenti presso la Comunità Montana.
Grazie alla recente legge sulla trasparenza, ne è stata possibile la consultazione.
SECONDA PARTE: Periodo dal 2009 ad agosto 2015
Rifiuti indifferenziati della Comunità Montana portati alla TRASFERENZA
Dal 2009, in base a nuove norme ambientali e a disposizioni della regione Abruzzo, l’impianto di Bocche di Forli non ha potuto più accettare rifiuti indifferenziati. Esso poteva accettare solo rifiuto organico umido cioè avanzi di cucina, materiale ottimo per la produzione di compost di qualità; ma ciò avrebbe imposto, dal 2009 in poi che i Comuni della Comunità Montana eseguissero la raccolta differenziata da cui doveva essere ricavato l’umido da conferire a Bocche di Forli. Quasi tutti i comuni della Comunità Montana, compreso Castel di Sangro, non hanno mai eseguito nel passato la raccolta differenziata se non in quantità bassissime ed il rifiuto umido portato a Bocche di Forli ha rappresentato solo qualche per cento della loro produzione complessiva dei rifiuti.
Quindi al 2009 fino al 2015 i Comuni della Comunità Montana non hanno potuto più utilizzare l’impianto di Bocche di Forli come impianto di riciclaggio e compostaggio.
Però sempre dal 2009, i Comuni della Comunità Montana dovevano però portare la “monnezza” cioè i rifiuti indifferenziati da qualche parte e a tale scopo fu costruito a Bocche di Forli un deposito transitorio per i rifiuti indifferenziati chiamato TRASFERENZA; i camion dei vari comuni scaricavano nella TRASFERENZA i rifiuti indifferenziati che successivamente venivano prelevati e trasportati all’impianto del COGESA di Sulmona per essere smaltiti. Il COGESA è una società i cui soci sono i comuni della valle peligna e si occupa del trattamento e smaltimento di rifiuti. Attualmente il comune di Castel di Sangro detiene una piccola quota azionaria del COGESA.
Dal 2009 fino al 2015 l’impianto di Bocche di Forli è stato utilizzato dai comuni della Comunità Montana dell’Alto Sangro soltanto come luogo transitorio di raccolta di rifiuti indifferenziati da trasferire successivamente al COGESA di Sulmona e mai come impianto di riciclaggio di rifiuti e compostaggio.
La società ASA che prese in gestione dal 2006 l’impianto di Bocche di Forli, si occupava anche della TRASFERENZA e ha accumulato durante questa attività debiti notevoli.
Le tariffe praticate e i criteri di gestione di ASA erano poco chiari: sembra che i comuni dell’Alto Sangro conferissero i rifiuti indifferenziati alla TRASFERENZA pagando a ASA 90 euro a tonnellata e poi ASA rifilava gli stessi rifiuti al COGESA pagando 170 euro con una perdita per l’ASA di 80 euro a tonnellata; in questo modo, lavorando in perdita, sembra che ASA abbia contratto un debito colossale nei confronti di COGESA . Si dice che il debito di ASA verso COGESA sia superiore a 700.000 euro.
Perché COGESA, società pubblica, ha tollerato che il debito raggiungesse tale valore? La società ASA ha in corso un procedimento fallimentare e presenta perdite enormi nei bilanci. Con il fallimento di ASA il credito di 700.000 euro diventa inesigibile e peserà negativamente nei bilancio del COGESA .
Gli azionisti della società COGESA , cioè i comuni , sono al corrente di tale situazione ?
Sembra che la TRASFERENZA sia stata realizzata utilizzando parte dei fondi destinati all’ammodernamento dell’impianto .
Qualche anno fa, fu deciso l’ammodernamento o revamping dell’impianto di Bocche di Forli e la Regione Abruzzo destinò a tale scopo dei fondi esclusivi , circa un milione e mezzo di euro, poi però sembra che parte di questi fondi sia stata utilizzata per la costruzione della TRASFERENZA.
L’ammodernamento dell’impianto di Bocche di Forli non aveva nulla da spartire con la TRASFERENZA .
L’uso di denaro pubblico per finalità diverse da quelle per le quali era stato stanziato è un reato?
Questo comportamento è sanzionabile dalla Corte dei Conti ?
Pur avendo fatto richiesta alla Comunità Montana e alla società ASA di poter accedere ai documenti relativi al periodo in questione non ne è stata possibile la consultazione.
TERZA PARTE: Dal 2009 alla chiusura di agosto 2015
Funzionamento dell’impianto con rifiuto umido proveniente da territori esterni alla Comunità Montana
Dal 2009 fino alla chiusura di agosto 2015, l’impianto di Bocche di Forli ha lavorato esclusivamente i rifiuti organici provenienti da territori esterni alla Comunità Montana e le quantità lavorate sono sempre state inferiori alla potenzialità dell’impianto che era di circa 20.000 tonnellate
Il compost prodotto dal 2009 fino al 2015, pur essendo ricavato da rifiuto umido, è risultato anch’esso di qualità scadente e talvolta inquinato da piombo, inutilizzabile pertanto in agricoltura ; ciò forse dovuto alla scarsa serietà dei conferitori dell’umido che portavano a Bocche di Forli materiale non idoneo. Il compost prodotto non ha mai ricevuto le autorizzazioni necessarie per l’uso in agricoltura malgrado sia stato detto per anni che l’impianto producesse compost di qualità. Questo compost, invendibile, non si sa che fine abbia fatto ; forse è finito nella stessa discarica a servizio dell’impianto o è stato portato da qualche altra parte perché pare che la discarica fosse piena e non potesse accogliere altro materiale.
Forse il compost prodotto potrebbe essere stato smaltito portandolo al COGESA di Sulmona. I conferitori dell’umido pagavano ad ASA 90 euro a tonnellata; però il compost prodotto era inutilizzabile ed il relativo smaltimento costava 170 euro che ASA pagava al COGESA di Sulmona.
Per ogni tonnellata di rifiuto ASA perdeva 80 euro ; questa è un’altra possibile causa del buco di bilancio di ASA e del debito di ASA nei confronti del Cogesa .
Una altra possibile spiegazione del buco nei bilanci di ASA è la seguente : i conferitori dell’umido (comuni al di fuori della Comunità Montana ) portavano l’umido all’impianto pagando 90 euro a tonnellata , l’impianto non riusciva a lavorarlo e lo stesso umido riusciva dall’impianto come scarto di lavorazione del cui smaltimento si occupava COGESA che incassava da ASA 170 euro a tonnellata.
Tutto questo fino a agosto 2015 perché da allora l’impianto è stato chiuso dalla Regione Abruzzo per violazioni gravi delle norme ambientali e della sicurezza sul lavoro.
Per vent’anni, dal 1995 al 2015, l’impianto che doveva produrre compost da usare in agricoltura, ha prodotto compost inutile e pure da smaltire, non ha funzionato per niente in base alle finalità per le quali era stato costruito e ha dilapidato somme ingenti durante il suo funzionamento.
Gli amministratori locali, di ogni schieramento politico, che hanno gestito l’impianto hanno buttato al vento i 13,5 miliardi di lire necessari per la sua costruzione e tutto il denaro speso durante l’attività dell’impianto dall’inizio fino alla chiusura .
Nel 2001 venne costituita la società s.r.l. pubblico-privata AltoSangroAmbiente o ASA , di proprietà della Comunità Montana al 51% e del socio privato SLIA al 49% , capitale sociale circa 100.000 euro, per la gestione dell’impianto di Bocche di Forli. La Comunità montana affidò la gestione dell’impianto, rimanendone però proprietaria, alla società ASA solo a partire dal 2006 .
Quando la società ASA venne fondata, la Comunità Montana mise a disposizione della medesima l’ impianto di Bocche di Forli del valore di 15 miliardi di lire mentre il socio privato SLIA non mise nulla. Ci si sarebbe aspettato che il socio privato apportasse capitali ed altri beni di valore equivalente alla quota del socio pubblico, invece il socio privato non mise niente nella società ASA . Si dice che il contributo che SLIA avrebbe dovuto apportare nell’ASA consistesse unicamente nelle competenze acquisite nella gestione degli impianti di riciclaggio ; sembra che tali competenze siano state di ben scarso livello visto che il compost prodotto, dal 1995 al 2006, anno in cui finisce la gestione SLIA, è stato di qualità scadente, inutilizzabile, invendibile e che inoltre doveva pure essere smaltito .
Il consiglio di amministrazione di ASA doveva essere formato da 5 persone, tre di nomina della Comunità Montana, tra di essi il presidente, e due di nomina del socio privato SLIA ; quindi gli amministratori di nomina pubblica avevano la maggioranza nel consiglio di amministrazione.
Il socio privato ha subito negli anni passati delle disavventure giudiziarie e la sua quota del 49% pare sia stata sequestrata in passato dal tribunale di Roma ed affidata ad un custode giudiziario. Tutti gli amministratori ASA di nomina pubblica sono stati scelti dalla Comunità Montana tra i politici dell’Alto Sangro di vario orientamento politico, non per le capacità manageriali ma per le spartizioni politiche; inoltre gli amministratori hanno goduto di lauti compensi.
Una delibera consiliare della Comunità Montana stabiliva che gli amministratori ASA di nomina pubblica dovessero essere scelti secondo criteri di competenza, esperienza del settore e professionalità, preferibilmente residenti nel territorio della Comunità Montana, sentita la Conferenza dei Sindaci; la scelta del socio privato SLIA era stata giustificata dalla capacità tecnica, volume d’affari e commercializzazione del compost ; si segnala inoltre che in una delibera consiliare precedente l’affidamento dell’impianto all’ASA risulta scritto che la SLIA era introdotta nel mercato del compost; ma ciò non era per niente vero , però si continuava con la finzione da parte della Comunità Montana che l’impianto funzionasse regolarmente e che il compost fosse venduto.
Nessuno dei criteri stabiliti dalla Comunità Montana sono state rispettati :
- gli amministratori di ASA sono stati scelti per le spartizioni politiche e non per le comprovate capacità ;
- SLIA non ha mostrato nessuna capacità tecnica, ha prodotto un compost inutilizzabile che non è stato mai commercializzato perché invendibile. Qualcuno ha riferito che il compost rendeva sterili i campi ; quindi forse l’uso migliore che se ne poteva fare era quello di diserbante.
Come già detto la società ASA ha operato fino alla chiusura di agosto 2015 con il socio privato coinvolto in procedimenti giudiziari e durante la sua attività ha accumulato ingenti perdite . All’inizio del 2013 è stata messa in liquidazione e da febbraio 2017 un curatore fallimentare si occupa di detta società.
Si è cercato di giustificare il disastro amministrativo, gestionale e finanziario di ASA addossando le colpe al socio privato con problemi giudiziari ; il socio privato è invece stato un partner silente che non ha avuto responsabilità operative tutte invece riconducibili agli amministratori di nomina pubblica che avevano la maggioranza nel consiglio di amministrazione.
I bilanci degli ultimi tre anni , prima del fallimento 2017, non sono stati pubblicati ( 2014, 2015 , 2016 ) .
Non si conoscono con precisione i creditori di ASA ma pare che tra di essi ci sia il COGESA che vanta un credito di 700.000 euro, poi ci sono l’Enel, Saca, altri creditori e i lavoratori dell’impianto che non hanno preso lo stipendio per più di tre anni.
L’impianto ha avuto sempre problemi e dopo una serie di intoppi aveva ricominciato a funzionare regolarmente dalla fine del 2014 fino a maggio 2015 generando anche un piccolo utile ma non è stato possibile sapere se il compost prodotto in questo periodo sia stato venduto e quali ricavi abbia prodotto. Però a giugno 2015 la produzione è precipitata sembra per dissidi insorti tra il personale che lavorava all’impianto. Poi l’impianto è andato in blocco ma il materiale umido continuava comunque ad affluire nell’impianto generando un ricavo ipotetico (denaro peraltro mai incassato) dovuto ai conferitori di umido che avrebbero dovuto versare il pagamento previsto di 90 euro la tonnellata. Con l’impianto bloccato, l’umido non poteva più essere lavorato e smaltito ma si permetteva comunque che esso continuasse ad entrare nell’impianto che alla fine si riempì di montagne di immondizia fino all’inverosimile.
Si dice che ci fosse l’ordine di far entrare nell’impianto la maggior quantità possibile di rifiuto e ciò per fare fatturato dovuto alle somme che avrebbero pagato i conferitori ; poi sembra che questi ultimi non abbiano nemmeno pagato le somme per i rifiuti portati all’impianto.
Con l’impianto pieno di montagne di immondizia, le condizioni di lavoro erano diventate impossibili ed alcuni lavoratori, costretti a lavorare in condizioni di lavoro pericolose per la salute , segnalarono i gravi problemi dell’impianto alla ASL e all’ARTA, enti che si interessano di sicurezza sul lavoro e dell’ambiente.
Nelle ispezioni ASL ed ARTA rilevarono gravi violazioni e segnalarono i fatti alla regione Abruzzo che con un atto amministrativo chiuse l’impianto ad agosto 2015, dando alla Comunità Montana e agli amministratori di ASA un certo periodo tempo per ripulire l’impianto dall’immondizia e riportarlo alla normalità.
Le violazioni furono segnalate ad agosto 2015 anche alla Procura di Sulmona e sembra che sia iniziato un procedimenti penale a carico dei responsabili .
Verso la fine del 2016, dopo più di un anno dalla chiusura di agosto 2015, sembrava che i lavori di ripulitura fossero terminati con una spesa vicina a 200.000 euro.
Per meglio capire la vicenda si riassume la situazione dal 2015 fino a dicembre 2016 :
l’umido entrava a Bocche di Forli e ASA incassava ipoteticamente 90 euro a tonnellata (i comuni che portano l’umido però non pagano) e l’impianto si riempiva di montagne di monnezza per fare fatturato; poi l’impianto andò in blocco ed i rifiuti depositati nell’impianto non potevano essere più lavorati ed eliminati . Per pulire l’impianto pieno di montagne di rifiuti, l’ASA avrebbe dato nei mesi successivi, la monnezza depositata nell’impianto al COGESA(responsabile della ripulitura) pagando 170 euro la tonnellata. L’impianto guadagna mille euro, forse duemila , nei primi cinque mesi del 2015 , ma poi ne perde 200.000 nei mesi seguenti per le operazioni di ripulitura .
Quasi tutti i politici locali, di Castel di Sangro e degli altri comuni dell’Alto Sangro, che hanno ricoperto cariche nella Comunità Montana, nell’ASA e che hanno partecipato alle Conferenze dei Sindaci sono responsabili della situazione in cui è finito l’impianto di Bocche di Forli in quanto non hanno fatto nulla per arrestare la deriva fallimentare in cui esso è precipitato.
Come già detto l’impianto era in grado di lavorare in un anno circa 20.000 tonnellate di umido per la produzione di compost di qualità ma le quantità effettivamente lavorate sono state sempre inferiori alla potenzialità dell’impianto. Eppure c’erano tanti comuni e territori, anche fuori regione, disponibili a portare i rifiuti a Bocche di Forli ; occorreva quindi individuare tutte quelle città , abruzzesi e non, che facevano la raccolta differenziata ed invitarle a portare i rifiuti umidi a Bocche di Forli ; questo compito non sarebbe stato difficile considerato che in tutto l’Abruzzo ci sono solo un paio gli impianti che lavorano l’umido e che quindi l’impianto di Bocche di Forli poteva operare senza concorrenti , quasi in regime di monopolio . Occorreva quindi sfruttare al meglio le potenzialità dell’impianto aumentando la quantità dei rifiuti da portare all’impianto e controllare con attenzione che l’umido conferito fosse privo di sostanze inquinanti. Questa opportunità non è stata sfruttata e le quantità lavorate sono state sempre modeste. Se l’impianto fosse stato gestito con un minimo di attenzione avrebbe prodotto degli utili invece di generare buchi enormi di bilancio.
- I lavori di ripulitura dell’impianto sono costati circa 200.000 euro e sembra che siano stati realizzati utilizzando parte del finanziamento di un milione e mezzo di euro stanziato alcuni anni fa per l’ammodernamento dell’impianto. Quindi i soldi assegnati per una determinata finalità sono stati usati per altri scopi . E’ legittimo tutto questo ?
- Nei primi mesi del 2015 è stato consentito l’ingresso nell’impianto di grandi quantità di rifiuti che ne hanno determinato la chiusura e la successiva ripulitura con una spesa di 200.000 euro . Questo comportamento irresponsabile può portare all’imputazione dei responsabili per aver creato un danno erariale ?
- Questo comportamento è sanzionabile dalla Corte dei Conti ?
QUARTA PARTE: Situazione a febbraio 2017 – Fallimento della società ASA
A febbraio 2017 è stata avviata la procedura fallimentare di ASA con la nomina di un curatore .
Si spera che con il fallimento vengano accertate le responsabilità, civili e penali , di tutte le persone coinvolte nella gestione fallimentare dell’impianto di Bocche di Forli.
L’impianto di Bocche di Forli non rientra nel fallimento di ASA che di esso ne aveva solo la gestione e rimane quindi di proprietà della Comunità Montana o della Regione Abruzzo.
Si riportano alcuni fatti in parte già descritti prima :
- la SLIA nel contratto d’appalto si era impegnata a garantire determinati risultati che non ci sono stati ; è palese l’inadempienza contrattuale mostrata dalla SLIA . La Comunità Montana doveva rescindere il contratto e citare in giudizio la SLIA per ottenere indietro tutti i soldi versati per la costruzione dell’impianto. Perché la Comunità Montana non citò in giudizio la SLIA ?
- Il 5 e 6 novembre 1988 , i funzionari della BEI svolsero l’istruttoria per il finanziamento presso l’assessorato ai LL.PP. della Regione Abruzzo e congiuntamente con il Centro Studi di Microbiologia fecero la relazione sul compost che avrebbe dovuto produrre l’impianto.
- Però successivamente la BEI, erogatrice dei fondi FIO, forse per maggior garanzia, pretese però prima del finanziamento una relazione specifica sull’indagine di mercato relativa alla vendita effettiva del compost prodotto dall’impianto; detta relazione venne fatta dal Centro Studi di Microbiologia e dalla SLIA ; in essa si mettevano in evidenza la facilità di vendita del compost e le numerose società, tra cui la stessa SLIA , che lo smerciavano in Italia ; grazie a tale relazione la BEI concesse il finanziamento.
- Perché la BEI , dopo aver erogato il finanziamento, non richiese ulteriori assicurazioni o verifiche sul regolare funzionamento dell’impianto e sulla vendita di compost ?
- Strana la posizione della Regione Abruzzo : la BEI chiese , tramite la Regione Abruzzo , alla Comunità Montana, la relazione sulla vendita del compost. La relazione della Comunità Montana, redatta da Slia e dal Centro Studi di Microbiologia , fu inoltrata alla BEI tramite la Regione Abruzzo. La BEI erogò il finanziamento sulla base di quella relazione. Come mai la Regione Abruzzo che conosceva la relazione, successivamente non si è interessata del funzionamento dell’impianto, non si è informata della qualità del compost , dell’effettiva vendita e dei ricavi che si dovevano ottenere ?
- La commissione collaudo dell’impianto era stata nominata dalla Regione Abruzzo ; la commissione dichiarò che l’impianto funzionava regolarmente mentre in realtà questo non era vero. La Regione Abruzzo accetta supinamente le conclusioni della commissione collaudo senza fare ulteriori controlli.
- I debiti di ASA probabilmente superano i due milioni di euro. Come faranno i responsabili, presenti e passati, della Comunità Montana a giustificare i risultati disastrosi della società ASA ?
- Per la SLIA , secondo il contratto di appalto del 1988, erano sufficienti 5 lavoratori per gestire l’impianto; in alcuni periodi però ne sono stati assunti anche 15, scelti tra gli amici dei politici della Comunità Montana. Il numero di lavoratori in eccesso ha appesantito sicuramente i bilanci ; inoltre c’é da segnalare che in certi periodi l’impianto è stato fermo ma gli amministratori di ASA invece di mettere in cassa integrazione i lavoratori, davano agli stessi lo stipendio intero.
- Solo negli ultimi tempi prima della chiusura è stata usata la cassa integrazione.
- Gli amministratori che si sono avvicendati nella gestione di ASA , si assegnavano lauti stipendi o indennità per la funzione svolta nonostante i risultati disastrosi della gestione dell’impianto.
- I tetti dei capannoni sono di eternit ; in Italia ne è stata vietata la produzione nel 1992 e la vendita dal 1994. All’epoca della costruzione dell’impianto (dal 1989 al 1994) erano già noti da almeno 15-20 anni gli effetti cancerogeni dell’eternit e si rimane perplessi di fronte a tali manifestazioni plateali di incompetenza. I lavoratori sono stati esposti per anni al contatto dell’amianto con possibili conseguenze negative per la loro salute. I tetti in eternit dovranno essere smaltiti ; chi pagherà lo smaltimento ?
- Nel progetto iniziale dell’impianto le coperture previste per i fabbricati non erano di eternit ma di un altro materiale ; perché è stata consentita questa modifica ? Chi è stato il responsabile della sostituzione ? Si segnala che i collaudatori dell’impianto non si sono accorti di nulla .
- I lavoratori erano costretti ad operare prima della chiusura ad agosto 2015 con l’immondizia fino alle orecchie e alla loro rimostranze per le condizioni di lavoro inaccettabili si rispondeva :
- “ O lavorate oppure andate a casa “ .
- Qualche lavoratore non ha accettato e ha segnalato la situazione di illegalità agli enti di competenza e ciò ha determinato la chiusura dell’impianto ad agosto 2015.
- Sembra che la regione Abruzzo abbia finanziato l’acquisto e l’installazione di REFOLO a Roccaraso e poi non si sa per quali motivi sia stato portato a Bocche di Forli dove si trova smontato e abbandonato .
- Questa possibilità non è stata sfruttata.
- L’impianto di Bocche di Forli produceva degli scarti (sovvalli) che non potendo più essere depositati nella discarica adiacente in quanto esaurita, dovevano essere trasportati e smaltiti in siti idonei e questa operazione aveva costi notevoli. Detti sovvalli potevano essere trattati da REFOLO e produrre un utile derivante dalla vendita del CSS .
- Circa quattro o cinque anni fa fu installato a Roccaraso un impianto , denominato “REFOLO”, per il trattamento dei rifiuti indifferenziati. REFOLO era in grado di trasformare i rifiuti indifferenziati nel combustibile denominato CSS ( combustibile solido secondario).
- Successivamente REFOLO è stato smontato e portato a Bocche di Forli e lì giace abbandonato.
- C’è danno erariale per il fatto che l’impianto Refolo costruito con fondi pubblici venga smontato , trasferito in un altro posto e abbandonato
- A metà degli anni 90 l’attuale campo di calcio di Castel di Sangro fu soggetto a lavori di ristrutturazione e a qualcuno venne in mente di utilizzare il compost per realizzare il fondo del campo di gioco. Fu un disastro; il compost impediva la crescita dell’erba anzi la bruciava. Si dovette scorticare tutto il terreno superficiale.
Danilo Desideri
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