Daspo per i tifosi: gli spalti di ieri e di oggi, tra nostalgia e nuove regole del tifo
Quando negli anni ’90 iniziai a frequentare gli spalti come sostenitore del Castel di Sangro, il calcio aveva un sapore diverso. Era un’epoca in cui lo stadio era un luogo autentico, spesso caotico, ma profondamente vivo.
I ricordi più intensi di quel periodo sono legati a simboli che oggi sembrano appartenere a un’altra era: l’odore acre dei fumogeni gialli e rossi, le bandiere sventolate senza tregua, i cori che facevano tremare l’aria. Quella nuvola di colori era più di una coreografia: era un rituale, un grido visivo e olfattivo che univa tifosi e giocatori, creando un’atmosfera elettrizzante.
Certo, quei fumogeni comportavano dei rischi: lievi intossicazioni e la possibilità di incidenti. Ma per chi li viveva, quegli inconvenienti erano solo dettagli di un’esperienza unica, un simbolo di passione e di appartenenza. Chi non ha vissuto quegli anni difficilmente può comprendere il significato profondo che avevano.
Oggi, il mondo del tifo è profondamente cambiato. Gli stadi sono diventati luoghi moderni, spesso definiti “teatri” dello sport, dove la sicurezza è la priorità e ogni evento è pensato per offrire un’esperienza controllata e adatta a tutte le età. Le coreografie sono spettacolari, ma ordinate: grandi bandiere, cartelloni e luci sostituiscono i fumogeni e le torce. È un calcio più pulito, più sicuro, ma anche più distante dalla spontaneità grezza di un tempo.
Tuttavia, questa trasformazione non è priva di sfide. La nostalgia può spingere alcuni tifosi a riproporre vecchie pratiche, spesso senza considerare le nuove norme di sicurezza. È il caso recente che ha coinvolto gli ultras del “Calcio Termoli 1920” e dell'”Isernia S. Leucio“. Durante due partite, alcuni tifosi hanno acceso fumogeni e incendiato striscioni, creando pericoli concreti per il pubblico.
L’intervento tempestivo della Polizia di Stato e l’uso delle tecnologie di videodocumentazione hanno portato all’identificazione dei responsabili. Per loro sono scattate denunce penali e divieti di accesso agli stadi (DASPO), con durate variabili da uno a cinque anni. In un caso, il provvedimento è stato aggravato dall’obbligo di presentarsi regolarmente presso la polizia durante le partite.
Questi episodi ci ricordano che il tifo deve evolversi insieme agli stadi. La passione non può tradursi in comportamenti pericolosi, perché ogni tifoso ha il diritto di godere dello spettacolo in sicurezza.
Eppure, per chi ha vissuto l’epoca dei fumogeni e degli spalti vibranti degli anni ’90, resta un filo di malinconia. Il calcio, come ogni fenomeno sociale, cambia con i tempi, ma il cuore del tifo – quella passione viscerale che unisce persone di ogni età e provenienza – è qualcosa che non dovrebbe mai essere soffocato, ma semplicemente adattato a un nuovo contesto.
Michele Di Franco
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