Villetta Barrea il “Paese dei cervi” e del Regno di Fantasia
C’era una volta un libro che descriveva il luogo dei sogni, dove tutti erano felici o perché vivevano in armonia gli uni con gli altri, uomini e donne, bambini e adulti o perché conservavano nei loro cuori l’immagine di cosa sia la felicità e quindi la speranza di poterla ritrovare, nascosta magari in qualche pagina del loro prossimo futuro o tutt’al più del futuro dei propri figli.
Si trattava di Fantàsia, un luogo splendido, ricco di verde, di paesaggi, di natura incontaminata o addomesticata dagli umani, ma in ogni caso tutti, proprio tutti, esseri umani, animali e vegetali, erano consapevoli del dono che dalla loro Terra avevano misteriosamente ricevuto, ne erano orgogliosi e avrebbero dato la propria vita per conservarla e valorizzarla.
E così come nella storia descritta nel libro, c’era e c’è tuttora, proprio nel cuore del mondo, al centro dell’Italia, a due ore da Roma, Napoli e Pescara – in un territorio molto simile al regno di Fantàsia che è quello del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise – un piccolo paese, VILLETTA BARREA, di poco più di 600 abitanti, ubicato accanto ad una bella pineta, dove anziani e bambini passeggiano per respirare l’aria salubre e odorosa di pigne e di resina, ubicato anche sulle sponde del fiume Sangro, dove è possibile ascoltare il fragore dell’acqua e rasserenarsi da ogni preoccupazione e dove maestosi e centenari faggi soprattutto in autunno dipingono di mille colori la fantasìa umana.
Il paese è chiamato “il paese dei cervi” perché forse è l’unico paese al mondo in cui i cervi, reintrodotti cinquant’anni fa, convivono armoniosamente con gli umani e, se passeggi per le vie del paese, puoi ascoltarne alla fine dell’estate il loro bramito ardente, assistere ai combattimenti fra i maschi per conquistarsi la grazia delle femmine, trovarti davanti a una moltitudine inimmaginabile di cervi radunati, o accorgerti, a maggio, della nascita dei piccoli bambi che poi incontrerai mentre, assistiti premurosamente dalle mamme, imparano a correre nei prati del paese.
L’immagine autentica del paese è anche quella legata ai ricordi preziosi delle persone, di quando il paese era molto diverso da come è ora: le strade, allora, non erano asfaltate, ma c’era da per tutto il selciato bianco, le macchine erano rare e ci si spostava solo con la corriera. Nel paese c’erano asini e muli oltre che pollai, pecore, capre e maiali e nessuno si indignava per gli odori di stallatico.
La corrente elettrica c’era, ma era debole e spesso la luce si spegneva. E ancora più indietro nel tempo non c’era neppure l’acqua e si doveva andare a prenderla alla fontana con la conca di rame che poi, sulla spara veniva messa in testa, portando a casa il peso con ammirevole equilibrio, veniva quindi versata nella stufa e di volta in volta attinta per gli usi della famiglia, per ammassare, per lavare i piatti o i panni con la cenere, pulire la casa, lavarsi.
Il camino, a quei tempi, era il punto costante d’incontro della famiglia e la fiamma sempre accesa, dispensatrice di calore, ipnotizzava tutti perché cambiava costantemente direzione, forma, colore. Nella stanza del camino c’era il tavolo, le sedie, la credenza, l’arcuccia o madia e, su un ripiano, la conca dell’acqua.
Qualche volta c’era anche il forno per cuocere il pane, su cui, prima d’infornarlo, veniva impressa una croce. Sul soffitto c’erano degli anelli di ferro per reggere i bastoni sui quali venivano poste trecce di salsicce e qualche caciocavallo, mentre sul ripiano del camino, venivano messe le pignatte di coccio per cuocere lentamente i legumi.
Così prima di arrivare alla cottura, si poteva sentire uno speciale gorgoglio, fino a diventare un vero e proprio concerto, al momento in cui le lenticchie o i fagioli erano pronti per uno squisito pranzo. Allora, i ragazzini erano figli dell’intero paese, e avevano mille occupazioni, oltre quella di andare a scuola e fare i compiti: quando si uccidevano i maiali, infatti, dovevano insaccarne la carne per fare le salsicce, arrampicarsi sugli alberi nelle diverse stagioni per cogliere la frutta, andare a prendere le uova nel pollaio, tener fermi gli asini e i cavalli quando venivano ferrati, mungere le capre, aiutare i pastori in montagna quando tornavano dalle Puglie, raccogliere nei boschi le cascell e, soprattutto, inventarsi mille giochi in tutti gli spazi del paese.
E poi fare fra loro la lotta… Insomma facevano tali e tante cose, che seppure ci fosse stata la televisione, non sarebbe rimasto molto tempo per guardarla. Allora Villetta Barrea era un paese in cui tutte le porte delle case restavano aperte dal mattino presto fino a tarda ora.
Un paese in cui non circolavano soldi, ma ognuno, magari con grossi sacrifici, saldava i propri debiti. Un paese dove le donne lavavano e stendevano lungo il lavatoio la lana per i materassi, che sarebbe in seguito servita per fare la dote alle spose.
Era un paese dove si trovava, piantata nella terra accanto ai portoni, la lama di ferro, per togliersi il fango dalle scarpe, dove nello spaccio della Cooperativa si vendevano anche i pesciolini di liquirizia che costavano ciascuno una lira e che portavi via incartati nella carta gialla, dove il profumo delle ciambelle cotte al forno si espandeva all’esterno, come se la porta non riuscisse a trattenerlo, dove il banditore che percorreva le strade del paese, fermandosi ogni tanto ad annunciare l’arrivo di qualche venditore gridava “… è arrivato alla piazza!”, dove si mescolavano armoniosamente i rumori delle botteghe del falegname e del fabbro, dove a tutti era familiare il raglio degli asini, le galline inseguite dalle donne che le richiamavano con un curioso Pio, pio, il belato delle pecore e delle capre che tornavano dal pascolo e, ai primi freddi, il volo delle rondini, che, a decine, centinaia , migliaia , si radunavano sui fili della luce per poi partire tutte insieme cercando il caldo.
Ma, al decadere della transumanza, molti dovettero emigrare. Lo facevano in silenzio, senza informare nessuno, quasi ci si vergognasse ad andare a cercare altrove la possibilità di sopravvivere. Per chi restava invece, anche se non c’era tanto da mangiare, non mancavano momenti di allegria: le feste dei patroni erano festeggiate, fra processione, banda, giochi popolari e fuochi d’artificio, come la festa di tutti.
Il giorno prima dei matrimoni si usava portare la serenata e poi quando le spose andavano in chiesa si faceva la grascia con confetti e qualche soldo. Per ogni bambino che nasceva c’erano tanti compari quasi quanto gli abitanti. E la campana dava (e dà ancora) a tutti notizia delle ore, della messa e di chi muore. Villetta era (ed è tuttora) un paese dove i funerali sono accompagnati da tutti gli abitanti e l’intera comunità si ritrova per salutare uno “di casa” che se ne va.
Questo è il paese dei ricordi, un paese che aveva un’anima sola. Oggi non è più così, ma è convinzione comune che non si tratta di vivere il paese come un sogno del passato, bello, ma fuori della realtà, vale la pena piuttosto di esplorare, sperimentare, affrontare la realtà presente nelle sue diverse vicende, in un impegno collettivo ad onorare nel presente i valori del passato e a costruire con visione e tenacia le basi del futuro.
Sono convinta che tutta l’Amministrazione di Villetta Barrea nelle sue diverse componenti, si adoperi per rendere Villetta non un borgo di memorie artificiali, che offra gli stessi eventi, le stesse sagre, gli stessi monumenti, gli stessi piatti tipici di mille altri borghi di un mondo globalizzato, ma un vero e proprio “luogo che accolga” come suo specifico tratto identitario, residenti stabili e temporanei , italiani e stranieri, bambini, giovani e anziani, ognuno con i propri bisogni speciali, sanando, per mezzo di uno sforzo collettivo e in collaborazione con il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, diseguaglianze e contraddizioni territoriali attraverso progetti di qualità e investimenti strutturali.
E l’augurio, dopo il giorno della Befana 2022, è che Fantàsia, il luogo dei sogni, dove tutti sono felici o perché vivono in armonia gli uni con gli altri, uomini e donne, bambini, giovani e adulti, residenti e visitatori o perché custodiscono nei loro cuori l’immagine di cosa sia la felicità, possa davvero concretizzarsi nel piccolo Comune di Villetta Barrea!
Mariapia Graziani
ph: Pierluigi Viola
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