11 agosto 1316: 700 anni della Parrocchia di Roccaraso
Il monastero di santa Maria di Cinquemiglia, indebolito dall’indulgenza del vescovo valvense (che, nel 1299, ne aveva ottenuto da Bonifacio VIII l’assoggettamento) e corroso dalle usurpazioni dei beni, nei primi anni del secolo XIV si avviava già alla decadenza: pensò l’Università di Roccaraso che fosse quello il momento di avanzare una giusta richiesta. L’11 agosto del 1316 il vescovo Landolfo, in visita pastorale presso il monastero di Cinquemiglia, ricevette un’ambasceria: Thomas de Gazaria, soprannominato Laydus, Syndicus dell’Università di Roccaraso, e Perronus e Nicolaus, clerici del paese, chiedevano che la cura delle anime degli abitanti di Roccaraso, affidata ab ipsius Roccae primerio statu ai religiosi del monastero, fosse trasferita in una chiesa del paese, poiché era insopportabile che nati da battezzare e morti da seppellire fossero trasportati dal paese al monastero per tria millaria et ultra, per un cammino montanum et obviosum, asperum frigoris mundagnarum (sic) et imbrium innundatione, maxime inverno tempore periculosum ecc.
Il vescovo concesse l’istituzione del fonte battesimale e del cimitero nella chiesa di san Nicola in paese, e fissò anche la ripartizione dei tributi tra il clero locale e la chiesa di santa Maria di Cinquemiglia, che avrebbe conservato la funzione di matrix ed plebs. Siamo davanti ad uno dei tipici atti di emancipazione (anche se graduale) delle cappelle rurali dalla pieve centrale, fenomeno caratteristico della piena età comunale, ma non frequente nelle terre meridionali. Particolare notevole: il syndicus di Roccaraso prestava, per il rispetto dei patti, una garanzia di 100 once d’oro, fatto che rivela l’incipiente formazione di una cassa comune.
Dopo il 1316, il clero di Roccaraso fu sottoposto direttamente alla giurisdizione del vescovo valvense, al quale pagò le sue decime e dal quale ricevette le periodiche visite pastorali. Nel1356 il vescovo Francesco de Silanis visitò le due chiese del luogo, san Nicola e sant’Ippolito, trovando però gravi deficienze nel clero: i quattro sacerdoti Amico, Alessandro, Oddone e Pietro, ignoravano gli articoli di fede e di dedicavano, peraltro, al commercio del bestiame.
Ugo Del Castello
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