“Il tesoro di Pompei” il nuovo romanzo per ragazzi di Andrea Del Castello
Dopo due anni torna in libreria Andrea Del Castello con il romanzo per ragazzi “Il tesoro di Pompei” (Bertoni Editore). Negli anni che hanno preceduto la pandemia lo scrittore di Roccaraso ha ottenuto importanti riconoscimenti con il saggio “Come si scrive un thriller di successo” (Lupi, 2017) e il romanzo “La voce della morte” (Bertoni, 2018).
Ha curato la raccolta di racconti “Miti e delitti” (Lupi, 2019) e ha partecipato all’antologia noir “Il tallone di Achille” (Golem, 2019), opera vincitrice del Premio EquiLibri “Città di Cava de’ Tirreni”. Del Castello scrive fiabe per la casa di produzione musicale ReMiFavole e ha pubblicato vari libri e articoli sui diversi ambiti delle discipline umanistiche tra cui musicologia, filmologia e letteratura. Con “Il tesoro di Pompei” ora propone una storia in cui quattro liceali si cimentano in una caccia al tesoro. Abbiamo incontrato l’autore per approfondire i temi di questo libro.
Perché Pompei?
È un luogo affascinante e pieno di mistero. Rappresenta un unicum al mondo, una città antica eppure ancora viva, conservata fino ad oggi in modo incredibile. Mi è sembrato il luogo ideale per questa storia.
La trama però comincia nella vicina città di Scafati.
I protagonisti sono due ragazzi e due ragazze che frequentano il Liceo “Caccioppoli”. Una di loro è appassionata di archeologia e legge la notizia del ritrovamento di una tavoletta d’argilla nel sito di Pompei: il reperto indica un tesoro nascosto in una stanza segreta sotto la Casa del Poeta Tragico, ma la Soprintendenza non prevede di cominciare subito gli scavi. I ragazzi intuiscono che nel mosaico situato all’ingresso di quella domus, il celebre Cave Canem, sono nascosti gli indizi utili a trovare il tesoro. Così provano a risolvere l’enigma e a coinvolgere i loro insegnanti, che però restano scettici. Eppure i ragazzi fremono e vogliono entrare nell’area archeologica di notte.
Ma entrare di nascosto nel parco archeologico di Pompei non è un gioco da ragazzi, perché l’area è protetta e sorvegliata.
Certo! È praticamente impossibile farla franca, ma come si fa a placare l’entusiasmo a quell’età? E come se non bastasse, i ragazzi vengono a sapere che altre persone si stanno preparando a trafugare il tesoro. Insomma capiscono che non c’è più tempo da perdere: devono anticipare tutti i malintenzionati, a costo di intrufolarsi nell’area archeologica quella stessa notte. Ma la caccia al tesoro si trasforma in una caccia all’uomo. E loro ne saranno le prede.
Sembra già di avvertire un forte senso di suspense. È venuta fuori la tua anima thriller anche in questo romanzo?
C’è un po’ di suspense, ma in maniera per così dire “edulcorata”. I giovani lettori sono affascinati dal mistero e non c’è avventura che valga la pena vivere senza un po’ di rischio, senza qualche brivido. In generale credo che tutta la letteratura sia imperniata sulla tensione narrativa. È l’aspetto che ci fa ricordare i grandi personaggi: Renzo e Lucia, Romeo e Giulietta, Ulisse, l’Arminuta, Cenerentola o perfino Tom & Jerry o Willy il Coyote e non sto citando di certo opere thriller. È che quando leggiamo, ci affezioniamo a quei personaggi che hanno grossi ostacoli da superare e obiettivi difficili da raggiungere. Che sia la cattura di un assassino, la felicità dell’amore o il ritorno in patria, poco importa. Vogliamo vedere come il nostro eroe combatterà per appagare la pace della sua anima.
Amicizia, crescita personale, affetti giovanili, conflitto generazionale. Sono questi alcuni tra i temi che hai trattato nel tuo libro. I personaggi che hai creato rappresentano la generazione odierna?
Certo, con i pregi e i difetti che ogni generazione dimostra di avere. Se questa sarà ricordata in futuro come l’epoca del covid e dei social, l’epoca in cui le persone si relazionano attraverso gli smartphone, è anche vero che nella pandemia i giovani hanno acquisito la consapevolezza del sacrificio per il bene comune. E se da ragazzino io mi sentivo libero in un prato, senza pareti attorno a me, oggi i ragazzi hanno scoperto la libertà di fare rete in una scatoletta chiamata “smartphone” che li proietta in una dimensione diversa, una dimensione in cui le relazioni interpersonali sono protette dai pericoli del coronavirus.
Dunque intendi internet come una via di accesso alle relazioni negate dal lockdown?
È una delle accezioni possibili, anche se ogni cosa va considerata con i vantaggi e gli svantaggi che reca in sé. Ad esempio, neanche in rete riusciamo a liberarci dalle mascherine: le sostituiamo con una maschera ideale, quella dell’apparenza, come già avviene nella realtà, ma tramite i social network è più facile creare una sorta di personalità alternativa e artificiosa.
Però i ragazzi che hai caratterizzato nel romanzo sono molto maturi e riescono ad andare oltre l’apparenza.
Quando hanno gli stimoli giusti, i ragazzi sanno dire la loro. A volte meglio degli adulti.
Hai incontrato di persona gli studenti del “Caccioppoli”?
Sì, sono stato a Scafati in più di un’occasione e ho constatato un ottimo livello di istruzione e intraprendenza tra gli studenti. Io non penso che i giovani di oggi non abbiano valori, anzi cerco di evitare i luoghi comuni.
Hai anche effettuato dei sopralluoghi per l’ambientazione?
Sia nella scuola di Scafati che tra gli scavi di Pompei. Ho provato a rendere le scene realistiche.
Infatti si nota una perizia nella descrizione dei vari luoghi. A proposito, “La voce della morte” era ambientato in una città del Nord, “Il tesoro di Pompei” è ambientato in una città del Sud.
Ho capito dove vuoi andare a parare…
E certo! Voglio sapere se racconterai qualche storia che riguarda il nostro territorio.
Prima o poi ambienterò qualcosa anche dalle nostre parti. Qualche idea mi è già venuta in mente, ma per il momento preferisco fare un passo alla volta. La scelta dell’ambientazione non dipende solo dall’amore che ogni scrittore nutre per la propria terra, altrimenti si scriverebbe solo a kilometro zero, cosa pure bella e gratificante, ma al momento non ho ancora avuto la giusta ispirazione.
Neanche cercandola tra le tue esperienze nelle scuole dell’Alto Sangro?
In un certo senso “Il tesoro di Pompei” è impregnato delle mie esperienze nelle scuole. Serbo ricordi meravigliosi in ogni istituto che ho frequentato: le scuole dell’obbligo a Roccaraso e il liceo “Teofilo Patini” di Castel di Sangro prima di trasferirmi all’università, mentre ora tengo lezione nell’ambito dei corsi del PMI – Alto Sangro e svolgo seminari di ambito umanistico nelle scuole di musica e per conto di agenzie di promozione culturale. Nel romanzo ho riversato sia l’esperienza da studente che quella da insegnante. In fondo, la didattica è la linfa delle nostre vite. Tutti i giorni ogni individuo impara o insegna qualcosa, altrimenti il mondo non andrebbe avanti. Ed è questa la lezione più importante che dovremmo tenere a mente: la scuola non è semplicemente un luogo, ma l’essenza stessa del mondo.
Salutiamoci con un messaggio da mandare ai ragazzi che si accingono a leggere questo libro.
Leggete sempre! Fatelo per svago, ma anche per tenere allenata la mente. Qualsiasi ambizione avrete nella vita, una mente allenata vi aiuterà a realizzarvi. Leggete per il piacere di farlo, ma anche per dovere: non solo quello scolastico, ma soprattutto il dovere che ogni persona ha di migliorare se stessa.
Michele Messere
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