Ugo Del Castello: “Per non tornare alle pecore ci vogliono le pecore”
Ho appena finito di leggere le riflessioni pubblicate da Michil Costa il primo aprile scorso sul suo sito. (https://michilcosta.wordpress.com/) Michil è un albergatore ed una eccellente mente della Val Badia, zona che conosco anche in virtù dell’amicizia che ho stretto con Erich Kostner, per via delle mie ricerche, e che apprezzo per essere, a mio giudizio, il miglior luogo turistico della montagna italiana.
E lui, Michil, si lamenta! Della sua terra, allargata, denominata Alto Adige. Noi quaggiù cosa dovremmo fare? Chiudere i battenti e tornare alle pecore, ma solo quelle, senza alternativa alcuna. Qui non c’è più niente, non c’è più una coscienza civile, sociale e soprattutto di ospitalità e intraprendenza turistica. Mi domando se queste cose ci siano mai state veramente, dati gli oltre cent’anni di attività di ospitalità. Se escludiamo alcuni personaggi del passato, dei quali conoscendo l’indomabile spirito, possiamo essere fieri di averli avuti per l’impulso generoso che hanno dato a questa località turistica e sciistica, il resto è stata approssimazione, apatica attesa del turista proveniente dal centro-sud dell’Italia che per andare a villeggiare in montagna doveva “per forza” venire tra di noi. Oggi non è più così, anzi, già da molto tempo. E noi come lo abbiamo accolto il turista nel giro di qualche anno dopo che ai suoi occhi si presentava un paese in fermento dalle macerie dell’ultimo conflitto mondiale?
Con il cemento. Abbiamo consentito che si distruggessero le belle ville con giardino che arricchivano Roccaraso, ma anche Rivisondoli. Abbiamo favorito la chiusura di più di una decina di alberghi, abbiamo reso edificabili nel peggiore dei modi ettari di terreni. Insomma abbiamo incominciato a parlare una lingua incomprensibile e antitetica all’attività turistica, foriera di un disastro ambientale immane e con esso di una disfatta della capacità di ospitalità che proprio quei personaggi avevano impiantato con il cuore, con l’intraprendenza e perché no con la competenza.
Prima dell’avvento del treno e con esso dei primi viaggiatori che diedero l’avvio all’attività turistica verso queste montagne, quassù era il regno delle pecore, migliaia e migliaia. Una fortuna per coloro che si addormentavano ancor prima di iniziare a contarle. Famiglie facoltose, tante, che in special modo a Pescocostanzo impiegarono le loro ricchezze per renderla effettivamente uno dei borghi più belli d’Italia. E quello che c’è dentro quegli edifici è di una preziosità immane, mai effettivamente mostrata a corredo di una attività di ospitalità che potrebbe essere di prim’ordine. E il teatro di Roccaraso non era da meno, non tanto per la sua bellezza e antichità, ma per il suo nobile scopo di allietare anche l’ospite con qualificate rappresentazioni teatrali. Ci pensarono i tedeschi a distruggerlo e quindi non abbiamo più nulla da mostrare della nostra storia. Più nulla da rappresentare, solo stridenti costose e inutili strimpellature piazzaiole.
Ebbene, riflettiamo sulle riflessioni di Michil, che indicano una strada diversa da percorrere per rilanciare nuovamente l’attività di ospitalità nella loro valle con i prodotti di quella terra, con la capacità di presentarli come una ricchezza concessa al turista: il cappuccino con il latte delle mucche dolomitiche e lo speck privo di connotazioni ungheresi o tedeschi che siano. E così via. Perciò noi che ci troviamo molto più indietro non possiamo non immaginare quella che fu la nostra ricchezza di un tempo: la pecora: Riproporla nella misura di un tempo oggi su questi altopiani significherebbe avere a disposizione migliaia di litri di latte e quel latte dovrebbe restare quassù per produrre formaggi di eccellenza per offrirli al vacanziere. Non parliamo della lana. Qualcuno sicuramente obietterà, ma allora dobbiamo tornare a fare i pastori?
E perché no se qualcuno ne avvertisse il piacere o forse in tanti la necessità. Ho visto una trasmissione su Sky dove parlando delle eccellenze dei formaggi italiani hanno intervistato una laureata del frusinate che si è dedicata all’allevamento di un centinaio di pecore o forse più e che produce alcuni formaggi che sono diventati l’eccellenza di quelle montagne e dell’arte culinaria che lì si svolge. Se solo penso ad una direzione, ad un indirizzo gastronomico guidato da Niko Romito per offrire nelle varie realtà ristorative della zona, piatti preparati col nostro pecorino, impazzisco immaginando quanti turisti impazzirebbero come me. Mi piange il cuore vedere camminare sulle nostre strade decine di immigrati di colore. Non sanno che fare. Non guadagnano un centesimo la loro inattività forzata e mortificante. O se lo guadagnano lo fanno allungando le mani davanti ai supermercati castellani. Mi chiedo, vi chiedo; ma questa gente non potrebbe essere impiegata nel mestiere di pastore?
E poi il treno, quello dell’onorevole Giuseppe Andrea Angeloni che lo portò fin quassù per favorire il trasporto veloce e sicuro dei prodotti ovini verso luoghi commerciali. Oggi quel treno non dovrebbe uscire fuori di questo territorio, bensì correre tra Sulmona e Isernia con carrozze ristorante e concentrare in quella cucina piatti arricchiti dall’aglio di Sulmona, dai formaggi di pecora o bovini che siano degli altopiani, dalle trote del Sangro alle mele che circondano le sue sponde molisane; al tartufo e agli altri prodotti caseari del vicino Molise.
E i tratturi? Vi dico solo che opportunamente attrezzati potrebbero diventare qualcosa come la Via Francigena.
E allora cari politici locali, da questa parte e dall’altra parte del Sangro, perché non vi date da fare per trovare nei meandri degli assessorati regionali all’agricoltura i possibili fondi europei e non, per rilanciare la pastorizia quassù? Insomma non solo l’attività legata alla neve, ma anche quella legata ai pallini neri sparsi d’estate sugli altopiani. Quali? Quelli delle pecore, naturalmente: una miniera di diamanti a cielo aperto.
Purtroppo quassù non vedo teste pensanti. Assisto attonito all’imperversare di giovani che aspirano solo a risultare vincitori, ma non ho ancora capito di che cosa. Ahimè! Povera Roccaraso e in fondo povero Alto Sangro, se a qualcuno più avveduto di me fa piacere che lo citi.
Ugo Del Castello
udelcast@gmail.com
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