Il corner di Marco Santopaolo: dopo Ciro cambierà qualcosa?
Ciro Esposito non ce l’ha fatta. E’ morto in seguito a 53 giorni di agonia, dopo che fu sparato ad altezza d’uomo prima di Napoli-Fiorentina, finale di Coppa Italia giocata a Roma il 3 maggio. La magistratura chiarirà (si spera) le dinamiche che hanno condannato un ragazzo che voleva soltanto andare all’Olimpico per assistere ad una partita di calcio.
Al momento si sanno due cose: che Ciro era un onesto lavoratore di Scampia con l’intenzione di sposarsi presto con Simona; e che a sparargli sarebbe stato Daniele De Santis detto “Gastone”, ultras della Roma già in precedenza noto alle forze dell’ordine per numerose nefandezze.
Un dramma non si può racchiudere in poche righe, ma in quasi due mesi l’Italia ha potuto riflettere. Ha meditato sul dramma di un ragazzo perbene e della sua famiglia, che nella fede ha trovato la forza di andare avanti. Mamma Antonella, raro esempio di dignità, non ha mai perso la speranza, e dal primo giorno ha portato avanti la filosofia della non-violenza, finanche al funerale di suo figlio, urlando “basta alla violenza” insieme a Simona, la fidanzata di Ciro, un’altra vera Donna.
Ciro è diventato così un eroe di tutti i giorni, anche perché secondo le testimonianze si sarebbe preso una pallottola in petto per evitare che un pullman di donne e di bambini saltasse in area per la follia di delinquenti comuni; ma Ciro diventerà un eroe nazionale soltanto se le istituzioni passeranno finalmente dalle parole ai fatti, ascoltando le sue Donne.
Non sarà facile, perché in questo paese le belle parole e le idee non sono mai mancate, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e non solo: una scia di uomini (almeno una ventina) che hanno perso la vita per una gara di calcio. Lasciamo al legislatore ed al sociologo la ricetta per cambiare, ammesso che lo si voglia. A noi resta un’inedita riflessione da consegnare al lettore, che parte dalla degenerazione del giornalismo negli ultimi anni.
Perché un paese che “vanta” (?) tre quotidiani sportivi nazionali ha sentito la necessità di inventare il “telecronista tifoso”, quello che fa le telecronache urlando. Un paese in cui proliferano canali web, giornali, radio, riviste, siti e tv che si occupano ventiquattr’ore al giorno soltanto di calcio parlato. Al punto da farlo sembrare una cosa talmente seria da trasformare le opinioni in pericolose ideologie.
L’ultima frontiera del calcio parlato è rappresentato dal social network. Dallo sfottò si è passati rapidamente all’apologia dell’odio territoriale e del razzismo. Cose che, in un contesto diverso, non sarebbero tollerate. Con quanta facilità gli adolescenti di oggi ripropongono cori e scritte che si sentono e si leggono ogni domenica negli stadi italiani?
Basterà questa tragedia, ovvero, il verificarsi di quanto invocato quasi quotidianamente, ad aprire una riflessione? Diamoci un tempo ragionevole per verificarlo: qualora la risposta fosse negativa, che lo Stato intervenga senza indugio per garantire coloro i quali vogliono andare allo stadio senza la paura di non tornare dai propri cari al triplice fischio finale.
Perché Ciro era uno di noi.
Marco Santopaolo
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