Il corner di Santopaolo: più calcio, meno calci
Per chi ama ‘il pallone’ ma fa un altro mestiere, non c’è cosa più bella di giocare una partita di calcio dilettantistico. Più in generale, non c’è cosa più bella di uscire di casa con un borsone carico del necessario per trascorrere due ore di sana attività sportiva insieme ad altre persone, siano essi compagni con i quali si condividono allenamenti e spogliatoio oppure avversari con i quali confrontarsi in campo per poi scambiarsi una birra fuori. La teoria è questa.
In pratica, alcune volte accade il contrario. E così l’adrenalina diventa insana, un catalizzatore per sfogare lo stress di una settimana di lavoro. Ne abbiamo avuti di esempi sul territorio, che hanno ribadito l’estrema attualità del problema. Spesso, su certi campi, non c’è neanche un esponente della forza pubblica. Le società presentano regolare richiesta, puntualmente ignorata. Ai club va bene così: presentano copia dell’istanza all’arbitro ed evitano la multa.
Ma poi?
Certo, nella maggior parte dei casi non accade nulla e tutto fila liscio: così dovrebbe essere sempre, in teoria. Ed anche per questo (ovvero, la pura teoria) spesso non viene richiesta l’assistenza sanitaria. Di ambulanze, su certi campi, neanche l’ombra. Non c’è l’obbligo, vero, pertanto non si è responsabili di ciò che accade. Eppure, se poi succede qualcosa, alla responsabilità civile e penale subentra quella morale: quei 20/30 euro sono sempre ben spesi.
Se quest’ultimo problema si risolve riflettendo sul valore che può avere la vita umana rispetto a quella che, in rapporto, è una spesa irrisoria, il primo non è di facile soluzione, a meno che chiunque firmi il tesseramento con una società non sottoscriva, idealmente, un vincolo morale con gli altri associati che valga anche come codice etico. Perché non è possibile uscire di casa per giocare a calcio e rischiare di trovarsi, dopo qualche ora, in ospedale.
Per una partita di pallone.
Marco Santopaolo
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