Allattiamo i bambini ai capezzoli dei paesi – di Cesira Donatelli
I luoghi, quelli concessi. Le strade, quelle vicine. Dovrei conoscerli devotamente! Cotanta pretesa, imposta a me stessa, deriva dal fatto che più d’una carrabile sceglie di baciare l’altra proprio sotto il mio balcone. Non solo ho scoperto di non esser ferrata in tal senso, ma ho anche appurato di aver sempre percorso questi tratti con totale superficialità per non dire distacco.
Solo in questi tempi forestieri, in cui massaggio la mia anima smarrita, camminando verso albe e accogliendo tramonti, ho acquisito tante più verità. Mi sono spesso ritrovata, anche sotto una leggera pioggerellina, seduta su un muretto, da cui è possibile scovare un angolo timido e silente, mi sono avvalsa del sostegno di un cornicione, per fotografare i primi fiori che arridono a questa primavera tanto invocata, con affanno sono giunta in cima ad una salita colma di case a destra e a manca completamente mute e spente, tutto questo poco lo avevo considerato finora. Come destata d’improvviso da un sogno, ho iniziato a tirare le somme, le case vuote, abbandonate o semplicemente chiuse con un gelido catenaccio, sono più di quelle le cui finestre palesano lumi.
Da qui a chiedermi di chi fossero, di perché la loro ciminiera non brontoli, di perché l’orticello dinanzi sia disordinato e scostumato, rifiutandosi di donare abbondante e tenera insalata. La risposta mi è giunta dalla piccola bici “Graziella”, che originariamente doveva essere di color celeste cielo. Ora ha scelto un mise tendente al ruggine, che meglio si intona a tutto il contorno in cui staziona da troppo tempo. Lo stato dei fatti fa supporre che sia stata lasciata di gran lena, quasi fosse un intralcio ad una nuova e distante vita.
Sfacciatamente inizio a guardare dentro alcune di queste case, le tende delle finestre sono per lo più lacerate o assottigliate dal tempo e agevolano la mia curiosità. Tutto par ancora avere una voce, le stoviglie composte a piramide sul lavello, attendono di essere riposte nella dispensa, la “stufa economica” ha lo sportellino aperto, par debba essere accesa di lì a poco, tutto avvalorato dalla legna, ormai più che secca, posta in una grande cesta di vimini nelle prossimità. Sedie scomposte intorno ad un tavolo grande fanno pensare a famiglie numerose, i calcinacci sul pavimento rivelano il troppo tempo trascorso, posso supporre che vi sia l’odore del tempo, l’odore che avvolge le lenzuola ingiallite, le pareti corteggiate dai fumi, le ringhiere scorticate ma mai rese.
La bocca dello stomaco comincia a contrarsi, sento freddo, mi ritraggo, avverto solitudine, abbandono, mi scopro ad asciugarmi una lacrima solitaria, che poco stona con quel che mi circonda.
Il dissolversi delle ultime nubi, che hanno accompagnato un leggero scroscio di pioggia, porta più luce e mi evidenzia i resti di una casa interamente fatta di pietra, il tetto è imploso nel suo interno, delle finestre resta solo il misero contorno.
Di tanta tristezza non deve essersi curato l’arbusto che ora dimora questa abitazione, anzi sembra si sia fatto carico di quello che altri hanno snobbato. Verde, rigoglioso e propenso a concedere ombra ha posto le sue radici nel mezzo di quello che a intuito dove essere il tinello, sembra perfettamente a suo agio, fra i muri di pietra a secco, che lo cingono quasi a volerlo proteggere, sono riconoscenti, lui le ha scelte, non le ha sacrificate.
D’un tratto avverto un sollievo: “La vita non si arresta, può sempre tornare a ramificare, a schiudersi”. I vecchi tetti possono essere riparati, le vecchie stufe riaccese, le tavole imbandite a nuove e semplici minestre, i letti basta arieggiarli, gli orti non attendono che una carezza, i boschi vanno percorsi, i fiumi ascoltati. Torniamo ai mercati all’aperto, alla fiera di paese, alla voce dell’ambulante, beviamo dalla cannella dell’abbeveratoio. “Allattiamo i bambini ai capezzoli dei paesi”.
Cesira Donatelli
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