“La politica non vuole l’analisi costi-benefici”, lettera aperta di Alberto Savastano all’on. Laura Castelli
Inaspettatamente, mercoledì 16 u.s., durante la trasmissione “Porta a Porta”, nell’ascoltare l’intervento dell’On. Laura Castelli (http://selezione5stelle.com/video-laura-castelli-porta-porta-16-maggio-2018/).
In merito alla possibile interruzione dei lavori della TAV per verifiche da effettuare sulla corretta formulazione e valutazione del studio di fattibilità, ho scoperto di avere una eccellente PALADINA nella “battaglia” che da decenni conduco, solitario, per l’introduzione e l’applicazione sistematica e generalizzata dell’Analisi Costi/Benefici per la valutazione ex ante dei progetti d’investimento (leggi qui articolo Credito popolare – intervento Savastano – Evento ABI 2015).
Perseguo con ostinata determinazione questo obiettivo fin dalle mie lontane dimissioni – insieme ad altri 8 membri – dal Nucleo di Valutazione degli investimenti pubblici costituito nel 1984 presso il Ministero del Bilancio e della Pubblica Amministrazione con la Finanziaria del 1982 per la valutazione degli investimenti sottoposti a finanziamento del Fondo Investimento e Occupazione – FIO -. Si trattò di un gesto clamoroso che tenne banco a lungo sulla stampa di tutto l’arco costituzionale; in effetti la “cattiva politica” ebbe il sopravvento e l’iniziativa naufragò (“Come si uccide la Programmazione” di Giorgio La Malfa leggi qui Come si uccide la programmazione); purtroppo ancora oggi, come lo dimostra la dichiarazione dell’On. Castelli: “è sempre la “politica” che rifiuta l’Analisi Costi/Benefici”. Comunque il tempo è galantuomo!
L’On. Laura Castelli ha messo il dito sulla piaga! La causa principale della decrescita del nostro Paese è proprio la mancanza di una cultura della progettualità come si può evincere anche dal Rapporto sui “Grandi Progetti” del Senato della Repubblica: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento/files/000/028/590/Focus_Grandi_progetti_DEF.pdf.
In questo Rapporto, infatti, il Senato:
si domanda: “l’Italia sa valutare correttamente le opere infrastrutturali, ottimizzare la spesa e soddisfare al meglio i bisogni dei cittadini?“
fa presente che “l’esperienza dei Grandi progetti 2007-2013 ha dimostrato molte criticità: secondo i tecnici della Commissione europea, il 90% aveva un’insufficiente Analisi Costi-Benefici“.
Nella mia lunga ed intensa operatività professionale indirizzata, in particolare, alla divulgazione e sensibilizzazione in questa materia, ho prodotto scritti e documenti dei quali ne ripropongo in questo articolo alcuni tratti più significativi. Cogliendo al balzo la dichiarazione dell’on. Castelli mi riprometto di richiamare l’attenzione dei Politici, delle Istituzioni, del mondo imprenditoriale, sindacale e bancario, degli Attori dello sviluppo (persone fisiche e giuridiche del settore pubblico e privato) e soprattutto dei giovani, sull’importanza che le Metodologie dell’Economia dello Sviluppo – l’Analisi Costi/Benefici (ACB) e la Programmazione per progetti (PPP) – rivestono per la corretta edificazione del processo di sviluppo economico e sociale nazionale, regionale e locale.
Di fatto, indipendentemente dalle decisioni che saranno prese in merito alla TAV, la dichiarazione dell’on. Castelli sull’ABC è in re ipsa fondamentale ai fini delle scelte metodologiche da effettuare per le migliori prospettive dello sviluppo economico e sociale dell’Italia. Gli effetti disastrosi prodotti dalla grande crisi del 2008 hanno sconvolto il mondo intero e in particolare il nostro Paese, che si è trovato indifeso proprio perché sguarnito di adeguati strumenti tecnico-metodologici di contrasto.
In questo articolo, non mi limito ad enunciare le palesi ragioni, universalmente riconosciute, della necessità di rilanciare la crescita economica ma, con riferimento specifico alle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo di standard tecnico internazionale, mi ripropongo di illustrarne brevemente contenuti ee specifiche tecniche , perché e come applicarle correttamente e quali siano i risultati attesi.
I PRINCIPI CARDINI DELL’ECONOMIA DELLO SVILUPPO
Con riferimento all’Analisi Costi Benefici i principi cardini sono:
Il “VALORE AGGIUNTO”, ossia il “surplus di valore” prodotto dai Progetti d’investimento dell’ “Economia reale” (pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali);
La “REDDITIVITÀ”, ossia il rapporto tra il valore aggiunto prodotto da un progetto d’Investimento e il capitale investito per la sua realizzazione;
Il “TASSO DI REDDITIVITÀ”, ossia l’indicatore che contraddistingue il rapporto “Valore aggiunto”/Capitale investito;
Il “RIFERIMENTO TEMPORALE”, ossia l’analisi progettuale condotta sull’intero arco di vita del progetto, correlato alla durata della sua componente fiscalmente più longeva.
Il “valore aggiunto” e la “redditività” possono avere una duplice valenza:
finanziaria, se il risultato atteso dalla realizzazione del Progetto consiste in “Rientri finanziari”: si parlerà di “Valore aggiunto” o di “Redditività finanziaria”;
sociale, se il risultato atteso dalla realizzazione del Progetto consiste in “Benefici sociali”: si parlerà di “Valore aggiunto” o di “Redditività sociale”;
Con riferimento ai Piani di Sviluppo e alla Programmazione per Progetti:
La PPP affronta due problematiche dello Sviluppo: quello macroeconomico e quello microeconomico.
Sul piano macroeconomico, sviluppa Studi generali (Studi settoriali e territoriali) attraverso i quali vengono quali-quantificati gli Obiettivi, le Priorità e le Opzioni del Piano di Sviluppo.
Sul Piano microeconomico, segue e completa il percorso quali-quantitativo delle fasi del ciclo del Progetto (identificazione, preselezione, formulazione, valutazione, promozione, approvazione, finanziamento, realizzazione e controllo ex ante, in itinere e ex post).
Per conseguire i risultati che seguono sono indispensabili:
La “Selezione” irreprensibile degli investimenti : approvazione dei soli progetti redditivi e allocazione prioritaria delle risorse finanziarie disponibili ai progetti contraddistinti dai più alti tassi di redditività finanziaria e/o sociale;
La “massimizzazione” della crescita economica, dell’incremento del PIL (Prodotto Interno Lordo) e, quindi, dello Sviluppo, grazie al cumulo dei valori aggiunti finanziari e sociali prodotti dai singoli progetti d’investimento.
L’ “ottimizzazione” del “Benessere sociale”.
La validità dell’Analisi Costi Benefici e della Programmazione per Progetti risiede sui fondamentali scientifici delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo.
Queste metodologie sono state formulate da lungo tempo, (primi anni ’50 del secolo scorso) da Centri di ricerca, Organismi e Organizzazioni finanziarie internazionali; sono universalmente considerate come il risultato più avanzato della ricerca economica, le sole in grado di assicurare risultati dal più elevato livello di attendibilità scientifica. Purtroppo l’Italia non le ha voluto recepire per ragioni ben precise di seguito riassunte:
Nel 1947, come riferisce Valentino Necco nel suo articolo: (Leggi qui Italia miracolata [1]) l’Italia ripudiò la programmazione e non si rese conto, purtroppo, che con quella sciagurata decisione rinunciava agli strumenti tecnici necessari per assicurare la razionalizzazione del processo di Sviluppo, la corretta allocazione delle risorse finanziarie destinate allo Sviluppo e l’ottimizzazione del benessere sociale.
Nel 1984, la protervia politica costrinse alle dimissioni i membri del Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici del Ministero del Bilancio e della PE che, da allora, non ha più avuto le stesse attribuzioni istituzionali; (Vedi Allegato n° 2: Come si uccide la Programmazione di Giorgio La Malfa).
Nel 2018, la dichiarazione dell’on. Castelli e il rapporto del Senato sui “Grandi progetti” confermano l’estraneità storica dell’Italia rispetto all’applicazione dell’ACB e della PPP e fanno presupporre, mi auguro, l’avvio del “Cambiamento”.
IL CONTESTO ECONOMICO E FINANZIARIO DELL’ITALIA E L’APPLICAZIONE DELL’ANALISI COSTI BENEFICI
L’Italia, purtroppo, è letteralmente schiacciata da due deficienze strutturali:
La “Bassa crescita”,vero tallone d’Achille dello Sviluppo economico e sociale che, protrattasi nel tempo, ha contribuito a determinare un pericoloso “Circolo vizioso”: Bassa Crescita/ Valore aggiunto insufficiente /PIL carent;
L’enorme “debito pubblico” che – grazie anche allo spreco finanziario di parte corrente – si è accumulato esponenzialmente nel tempo ed ha contribuito a determinare un secondo “Circolo vizioso”: scarsa crescita-spreco corrente/deficit di bilancio/ incremento del debito pubblico.
Queste due insufficienze si sono amplificate nel tempo per cui, in quanto pregresse, rendono doveroso precisare che la decrescita del Paese ha origini antiche e non è il risultato dalla “Grande Crisi” del 2008. Semmai, la grande crisi ha contribuito ad aggravare la situazione preesistente.
([1]….Del maggio 1947 è un episodio emblematico: alcuni esponenti della sinistra (tra cui Foa, Pesenti, Pajetta) all’Assemblea Costituente presentarono un emendamento che così recitava: “lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività economica secondo un piano che dia il massimo rendimento alla collettività”.
Sulle parole “dirigere” (poi inutilmente modificata in “orientare”) e “piano” scoppiò un enorme polverone giornalistico in cui si sventolava lo spettro dello stalinismo sovietico: l’avversione della DC fu netta e decisa. L’emendamento fu poi bocciato con l’astensione di pochi isolati democristiani tra cui Fanfani, Dossetti, La Pira. Per anni non si parlò più di programmazione e se sul momento un rifiuto del genere fu giustificato dalla peculiare collocazione politica del PCI, col senno di poi è difficile negare che l’attribuzione di un valore costituzionale al principio della programmazione economica avrebbe contestualmente stabilito un principio di responsabilità del governo rispetto agli obiettivi programmatici. Negli anni successivi lo Stato sarebbe intervenuto ugualmente – e spesso pesantemente – nell’economia del paese, ma in modo del tutto disorganico e disordinato, dunque inefficace e inefficiente.
Questa mancanza di responsabilità, cioè di verifica dell’avvenuto raggiungimento di obbiettivi precedentemente stabiliti, è una tara (enormemente facilitata dalla mancata alternanza di governo per più di quarant’anni) che ha pesato sull’economia italiana sino ai giorni nostri. Constateremo quanto fu difficile governare il “boom” economico senza strumenti adeguati di pianificazione”….).
L’Italia, purtroppo, è letteralmente schiacciata da due deficienze strutturali:
La “Bassa crescita”, vero tallone d’Achille dello Sviluppo economico e sociale che, protrattasi nel tempo, ha contribuito a determinare un pericoloso “Circolo vizioso”: Bassa Crescita/ Valore aggiunto insufficiente /PIL carent;
L’enorme “debito pubblico” che – grazie anche allo spreco finanziario di parte corrente – si è accumulato esponenzialmente nel tempo ed ha contribuito a determinare un secondo “Circolo vizioso”: scarsa crescita-spreco corrente/deficit di bilancio/ incremento del debito pubblico.
Queste due insufficienze si sono amplificate nel tempo per cui, in quanto pregresse, rendono doveroso precisare che la decrescita del Paese ha origini antiche e non è il risultato dalla “Grande Crisi” del 2008. Semmai, la grande crisi ha contribuito ad aggravare la situazione preesistente.
Inoltre, per non aver recepito e applicato in via sistematica e generalizzata le Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, la ripresa economica del Paese stenta ad invertire la rotta ed è difficile che l’Italia vi riesca finché continuerà ad avvalersi , per la valutazione dei progetti, di pratiche e metodologie errate e/o improprie quali la Discrezionalità, l’Analisi di Bilancio e il Business Plan.
La “Discrezionalità” è una pratica che non ha un fondamento scientifico ed è riconducibile unicamente al “buon senso” di chi vi fa ricorso;
l’“Analisi di bilancio” e il “Business plan” si fondano su incontestabili principi scientifici ma il “focus” dell’analisi si concentra sull’“Utile netto della gestione finanziaria d’impresa” e non, come nelle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, sulla ricerca preventiva della capacità del Progetto di produrre “Valore aggiunto finanziario e sociale” e sulla stima dei relativi “tassi di redditività”.
La tendenza a privilegiare le discipline gestionali in alternativa e in sostituzione delle Metodologie della progettualità e dello sviluppo si configura palesemente come un “Abbaglio culturale”, un vero e proprio “Paradosso metodologico”: valutare l’azienda invece del progetto.
Potrei dilungarmi ancora sulle differenze tecniche tra le due Metodologie in merito all’analisi progettuale ma in questo sede sarà bene concentrarsi sulla trattazione del tema prescelto. Ciò che, invece, mi preme evidenziare è la diversità qualitativa dei risultati che si possono ottenere con l’impiego delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, che essendo estranei alla logica delle Metodologie gestionali ampiamente utilizzate, non è stato possibile conseguire. Mi riferisco a:
La riduzione del debito pubblico
Poiché, come sostiene l’Economia dello Sviluppo, “la crescita economica, l’incremento del P.I.L. e/o dello Sviluppo socio-economico di uno Stato o di sue frazioni territoriali, è uguale alla sommatoria del “Valore aggiunto” prodotto dai progetti d’investimento dell’’Economia reale (pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali)”, la realizzazione di Progetti redditivi rappresenta la via obbligata per risalire la china e, se elevata a regime , potrà dar vita all’auspicato “Circolo virtuoso” dello Sviluppo. Produrre valore aggiunto significa, infatti, incrementare il PIL ed i progetti redditivi sono i soli in grado di favorire significativamente la crescita economica ed avviare, quindi, il processo di riduzione del debito pubblico.
La creazione di nuova occupazione e sua continuità nel tempo.
Poiché, come sostiene l’Economia dello Sviluppo, si può definire redditivo un Progetto che sia in grado di produrre un “surplus di valore” o “Valore aggiunto” durante l’intero suo arco temporale di vita, ciò significa che esso è in grado di remunerar in continuità tutti i fattori produttivi (Natura Capitale e Lavoro) impiegati durante le sue due fasi: 1) investimento e 2) funzionamento. Ne consegue che, verosimilmente, un siffatto Progetto non solo sarà in grado di creare realmente nuova occupazione, ma ne potrà assicurare la continuità nel tempo.
Conclusivamente, l’Analisi Costi/Benefici e la Programmazione per progetti costituiscono il “Modello” metodologico per antonomasia di cui l’Economia dello Sviluppo prescrive l’impiego per l’edificazione di un corretto processo di sviluppo. Sarebbe stolto scoprirne oggi l’esistenza nel solo intento di superare l’attuale grave momento di crisi e non elevarlo, invece, a sistema con la formulazione di una vera e propria legislazione organica dello sviluppo.
E’ questa la “Madre di tutte le riforme” che l’Italia deve essere capace di tradurre in fatti così come la stessa UE si attende (Leggi Golden rule “l’Italia credibile sulla golden rule solo se “scopre” la redditività” di A. Savastano).
Alberto Savastano
albertomariasavastano@gmail.com
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