Il calcio dagli occhi di una donna: solo belle parole
La mia “domenica al campo” inizia sempre in ritardo, mediamente un quarto d’ora dopo l’orario fissato per l’appuntamento della squadra. Pardon, per chi non lo sapesse (e perché mai dovrebbe saperlo) da quest’anno, Lorenzo (Caruso), il Presidente, mi ha arruolata nella dirigenza della CEP 1953. Ho accettato di buon grado perché il calcio, nella visione di noi ‘anta’ che abbiamo visto Pertini esultare al Santiago Bernabeu, é ancora e solo un gioco, il più bel gioco del mondo.
Però, capite, una femmina in mezzo a tanti maschi fa un po’ arrossire i giovanotti che dietro barbe di tendenza e tatuaggi ruggenti, in fondo in fondo hanno l’età di mia figlia. Sò ragazzi. Così me ne sto fuori dallo spogliatoio mentre loro si preparano di tutto punto. Da fuori li sento ridere, scherzare, pacche sulle spalle, si sentono, insomma, voci di ragazzi che si divertono. E i miei tentativi di assumere facce serie da dirigente naufragano inesorabilmente di fronte alle uscite dei ragazzi, come quando ieri, uno di loro, mi ha fatto notare che in distinta ero stata registrata come ‘massaggiatrice’, indicandomi una zona sotto il suo gluteo che aveva urgentemente bisogno di cure. Sono ragazzi e in quanto tali giocano e si divertono, a calcio e nello spogliatoio.
Quando è arrivato l’arbitro, un giovanotto alto e mingherlino, mi sono chiesta se avesse superato i vent’anni di età. E infatti ne aveva diciannove, l’età di mia figlia. É stato bello vederlo altero e serioso in mezzo alle due squadre in campo per il fischio d’inizio, lui che di anni ne aveva si e no una decina più del bimbo- mascotte della squadra di casa. In campo c’erano ventidue facce belle, più l’arbitro e il bimbo facevano ventiquattro visi puliti e giocherelloni, pronti a giocarsi il possesso di quella palla. Facce che ispiravano pizzicotti alla bello della zia. Fino a quando dagli spalti, i vocioni degli adulti, maschi, hanno preso a sovrastare per intensità e decibel le voci dei ragazzi in campo che si chiamavano la palla e suggerivano passaggi ai compagni.
Malgrado la temperatura estiva e il sole alto, dagli spalti piovevano insulti indirizzati all’arbitro che avrebbero fatto arrossire uno scaricatore di porto. E non é stato un bel sentire. Pensavo soprattutto a quel bimbo-mascotte che aveva accompagnato le squadre in campo. Istintivamente gli avrei messo le mani sulle orecchie per non farlo sentire, avrei voluto dirgli che quelle brutte parole non appartengono al calcio e nemmeno ai tifosi. Perché il calcio è il gioco più bello del mondo.
Niente a che fare con la mega rissa di Villa Scontrone dove, squadre in campo e dirigenti, se ne sono date di santa ragione. Dopo il fischio finale ho rivisto il bimbo insieme ad altri compagni giocare a pallone con gli spalti ormai vuoti. Peccato. Chi non c’era si é perso lo spettacolo dei bambini che giocavano al gioco più bello del mondo scambiandosi con la palla, solo belle parole. Lo spettacolo più bello di tutte le domeniche di calcio.
Loretta Montenero
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