“Il restauro architettonico di Villa San Michele”, tesi di laurea all’ateneo di Pescara
I neo laureati Alessandro Giglio e Kevin Morsella presenteranno l'elaborato a Villa San Michele, sabato 22 agosto, alle ore 17.30, insieme alle docenti Lucia Serafini ed Enza Zullo
Il Molise non esiste è l’espressione, da tempo presente nel sistema mediatico italiano, rilanciata con efficacia da Pier Luigi Sacco nel suo contributo sul volume Riabitare l’Italia, pubblicato nel 2018 a cura di Antonio De Rossi. L’espressione ha la valenza di un motto provocatorio che ha scelto il Molise a metafora delle aree così interne e periferiche da risultare luoghi immaginari e dunque di fatto inesistenti, al più relegati nel limbo di una narrazione che alla marginalità geografica ha fatto sempre corrispondere quella culturale in senso ampio.
A bucare la cortina di silenzio sul Molise come su tutte le aree giudicate marginali è stata negli ultimi anni una sempre maggiore attenzione sulla possibilità di invertire il destino di abbandono dei loro centri abitati, soprattutto di quelli minori, e per simmetria dei loro territori, rimasti privi di manutenzione, diventati fragili e più facile preda di terremoti e dissesti idrogeologici.
Il numero di convegni e pubblicazioni, anche a carattere letterario, dedicati all’argomento è ad oggi direttamente proporzionale all’entità del fenomeno e all’urgenza di soluzioni che non ammettono più deroghe.
Impegnato da tempo nella ricerca di soluzioni ai problemi del territorio e all’abbandono dei centri minori, in particolare dell’Abruzzo e del Molise, è il Dipartimento di Architettura dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. E’ qui, che la cattedra di Restauro Architettonico ha attivato con i suoi corsi una strategia di conoscenza e tutela del patrimonio che si concreta in ricerche sul territorio a diversa scala, combinando la dimensione regionale con quella puntuale di singole città e paesi come di specifici episodi edilizi di valore storico, artistico e documentale.
Il lavoro di ricerca svolto dagli studenti Alessandro Giglio e Kevin Morsella, con la relazione di chi scrive, per la loro tesi laurea in Restauro Architettonico presso l’Università “G. d’Annunzio” discussa nella sessione di luglio 2020, ha affrontato con metodo e consapevolezza il tema dell’abbandono in Molise, non solo portando dati concreti alla sua diffusione ed estensione ma anche delineando scenari di ripresa densi di possibilità per il presente e per il futuro. Preziosa in tal senso è stata la correlazione dell’architetto Enza Zullo, dell’Amministrazione molisana del Mibact.
Come noto, nel contesto di tutta la penisola italiana, il Molise è una delle regioni a più alto tasso di spopolamento. Rispetto al censimento del 1951, quando anche per il Molise come per tante altre regioni del centro e sud d’Italia si verifica il picco demografico più alto, quello del 2011 – l’ultimo in ordine di tempo – ha portato i numeri dello spopolamento ad una percentuale altissima.
Dei 156 comuni della regione, quelli “minini” ossia con abitanti che ammontano a qualche centinaio se non a poche decine di unità, sono 69, sparsi soprattutto nella provincia di Isernia. E’ qui che si è registrato il più alto tasso di spopolamento, ammontante al 25%. La provincia di Campobasso scende al 21%, ma solo perché al potere attrattivo del capoluogo di regione si aggiunge quello, addirittura più forte, della città di Termoli, sulla costa, capace con i suoi servizi e le sue attività industriali e turistiche di richiamare abitanti dall’interno e garantire dallo spopolamento progressivo anche i centri che gli fanno da corona.
Rispetto ad altre ricerche precedentemente affrontate, quella di Giglio e Morsella prescinde dalla dimensione regionale, che pure gli fa da riferimento costante, per focalizzarsi sulla realtà di Villa San Michele, una frazione di Vastogirardi in provincia di Isernia, capace di fare da metafora di una vicenda, quella della nascita e dell’abbandono di tanti piccoli borghi rurali, che riassume in buona parte una storia di più larghi orizzonti, non solo temporali. Una storia legata alla cultura spiccatamente rurale che per secoli ha improntato la società e l’economia molisana, frammentando sul territorio un elevato numero di borghi. Villa San Michele è una delle 44 frazioni della provincia di Isernia, rispetto a quella di Campobasso non solo di più radicata economia agricolo-pastorale ma anche dalla geografia meno aspra e dunque più favorevole alla proliferazione a maglia larga dell’abitato.
Borghi come quelli di Villa San Michele hanno sofferto più dei comuni capoluogo la riduzione di abitanti anche perché spesso all’emigrazione e ai cambiamenti sociali ed economici si sono aggiunti fenomeni naturali che ne hanno accelerato in larga misura lo spopolamento e l’abbandono.
La riduzione demografica del 70% che ha subito il borgo di Villa San Michele nell’arco di tempo che va dal 1951 al 2011, con una popolazione residua che si colloca per di più in una fascia di età medio alta, è dovuta ad esempio anche alle frane che ne hanno colpito la zona di più antica formazione e dal sito più aspro, e che hanno avviato un processo di discesa a valle culminato in una generale emorragia di residenti ed attività verso luoghi più attrattivi dal punto di vista del lavoro e dei servizi.
Nata secondo la tradizione sullo scorcio del XVIII secolo per iniziativa di un gruppo proveniente da Forlì del Sannio in cerca di nuove terre da destinare al pascolo, il borgo di Villa San Michele dovette passare nel giro di pochi decenni da una forma di colonizzazione di tipo stagionale ad uno stanziamento definitivo, in considerazione delle condizioni favorevoli del territorio molisano e della sua prerogativa di secolare cerniera fra i tratturi che dall’Appennino aquilano, in Abruzzo, raggiungevano le pianure pugliesi e garantivano allora grande fortuna all’economia pastorizia fondata sulla transumanza.
Sebbene non dotata di autonomia amministrativa anche questo borgo poteva vantare la presenza di una chiesa, oggi non più esistente ma documentata dall’iconografia storica, una scuola, certamente costruita nell’ultimo secolo, e una ricca dotazione di fontane, sorta di piazze cittadine considerate simbolo della comunità prima che costruzioni funzionali al rifornimento idrico per uso domestico e animale.
E’ significativo, come la ricerca di Giglio e Morsella ha confermato, che il primo insediamento avesse il nome di Pagliarone, probabilmente legato alla presenza in sito di costruzioni molto povere, cosiddette “pagliai” o “pagliare” perché realizzate con largo uso di paglia e canne, come nella tradizione di buona parte dell’Italia centro meridionale e non solo.
La vicenda di delocalizzazione del primo borgo e della sua frammentazione sul territorio limitrofo ebbe inizio con la frana del 1933, probabilmente riflesso, anche in Molise, del terremoto della Maiella dello stesso anno che tanti danni e distruzioni ha portato a molte province dell’Italia centrale. E’ da questo momento, e con maggior sollecitudine con la successiva frana del 1960, che all’abbandono delle vecchie case fece da contrappunto la costruzione di nuove in sito più pianeggiante e con tipologie più adatte. Le cosiddette “casette antisismiche” sono quelle in cui a tutt’oggi vivono i pochi abitanti del borgo, sebbene non sempre riconoscibili nel loro impianto e nella loro compagine figurativa poiché trasformate dal tempo e da aggiunte incongrue per forme e materiali. Basti pensare alla fitta presenza di laterizi forati e blocchi di cemento, decisamente contrastanti con la pietra calcarea della tradizione locale, nonché ai manti di tegole marsigliesi che coprono la maggior parte dei tetti a sostituzione dei manti di coppi originari.
Se la parte del borgo di prima formazione è convenzionalmente scindibile in due aree, diverse per numero e aggregazione delle unità edilizie, quella più recente costituisce una parte a se stante anche dal punto di vista morfologico. Di queste tre zone il lavoro di Giglio e Morsella ha indagato tutti i dettagli architettonici e materiali, producendo una somma di rilievi grafici di grande impatto, soprattutto laddove lo stato di abbandono e ruderizzazione delle case più antiche ha riconciliato l’architettura col paesaggio e posto in primo piano il tema dell’ambiente storico e della sua salvaguardia complessiva.
Proprio il degrado e l’abbandono hanno consentito, paradossalmente, di studiare quanto resta in una dimensione altrimenti inaccessibile e portare nuovi argomenti ed elementi allo studio della casa rurale in Molise, tanto nella sua distribuzione interna e nella sua logica funzionale quanto nelle sue strutture orizzontali e verticali.
Allo stesso modo, l’assenza di intonaci su gran parte delle superfici ha consentito di indagare alla piccola scala materiali e tecniche costruttive, e di confermare come la povertà di risorse sia stata nella maggior parte dei casi elusa con soluzioni di straordinaria perizia tecnica. Di grande interesse sono le mostre in pietra calcarea lavorata e sagomata delle porte e finestre che fanno da contrappunto alle bozze di pietra calcarea delle murature; altrettanto può dirsi per le bellissime ringhiere in ferro battuto presenti su alcuni edifici, a confermare, in quest’ultimo caso, il ruolo di primazia che la regione Molise ha sempre avuto riguardo alla lavorazione del ferro e dei suoi derivati.
Lungo il percorso che dalla conoscenza porta al progetto il lavoro su Villa San Michele ha guadagnato gli argomenti sufficienti per delineare scenari di recupero assolutamente in linea con il dibattito più aggiornato sul recupero dei centri storici. Il tutto senza prescindere dalle istanze locali e dalle possibilità reali delle comunità di riferimento.
Il recupero fisico del borgo, con la ricostruzione totale e/o parziale delle case, non può infatti che collegarsi alla ricostruzione delle cose, quindi dell’economia, del senso di appartenenza, della dimensione civica dell’abitare in un luogo anziché in un altro, e dunque della condizione di identità che contrassegna le persone e il loro habitat.
Il riferimento più autorevole che la ricerca di Giglio e Morsella ha utilizzato è quello della Strategia della Aree Interne (SNAI), promossa nel 2013 dall’allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, e che ha avuto il merito di mettere in campo ricerche sistematiche su tutto il territorio nazionale. In queste ricerche anche il Molise rientra finalmente a pieno merito, nella prospettiva, assolutamente non velleitaria, di attingere dalle risorse che i luoghi offrono per ottimizzarne le risposte sia in chiave sociale che economica.
Tra le altre, le risorse che il Molise offre in territorio di Villa San Michele sono aree naturali di grande attrattiva turistica e culturale, vecchi tracciati riutilizzabili per itinerari escursionistici a mobilità lenta, pedonale e/o ciclabile, nonché la vecchia tratta ferroviaria Sulmona – Carpinone – Isernia, suscettibile di potenziamento anche nelle strutture residue delle stazioni, trasformabili all’occorrenza in strutture ricettive.
La volontà di ridare un’economia al borgo senza annullarne la comunità attualmente residente si concreta nella proposta di un albergo diffuso da realizzare negli edifici superstiti, tramite una somma di interventi realizzati prevalentemente per aggiunta. Così è per le case più recenti, “mascherate” nelle parti incongrue con nuove forme e materiali, così è anche per le case più antiche, dove i ruderi diventano lo scenario di nuovi percorsi e sono chiamati, una volta messi in sicurezza, a coesistere con nuove funzioni senza perdere la propria identità. A orientare il progetto è stato insomma il governo della trasformazione, il compromesso cioè tra modernità e tradizione, tra conservazione e innovazione tanto delle tecnologie quanto dello spazio fisico.
Sebbene sia soltanto una proposta puntuale di recupero, quella di Giglio e Morsella per Villa San Michele sembra dunque contenere gli auspici e le indicazioni per un allargamento di orizzonte e di prospettiva che può coinvolgere l’intera rete dei centri minori molisani. Il momento sembra peraltro propizio.
E’ noto infatti che il Molise negli ultimi anni si è dimostrato particolarmente attivo sul tema del recupero e della valorizzazione dei piccoli centri. Gli esempi vanno da quello di Castel del Giudice a quelli Civitacampomarano e Cerro al Volturno, caratterizzati da programmi molto articolati, che alle iniziative di riuso e rifunzionalizzazione delle tante case disabitate e di riattivazione di economie rivolte al territorio e all’agricoltura hanno saputo spesso combinare manifestazioni artistiche di grande richiamo turistico, soprattutto durante la stagione estiva.
Come le numerose esperienze che si vanno compiendo in tutta Italia, anche quella di Villa San Michele sembra realizzabile e capace di farsi controstoria di se stessa e di tutto il Molise. L’attenzione alla specificità del luogo è documentata dalla ricerca e dai rilievi. E il progetto ne è la diretta estensione, nel tentativo di adottarne il palinsesto e riscriverlo nuovamente, con la consapevolezza che il riuso e la valorizzazione delle risorse sono una condizione imprescindibile per dare un futuro ai luoghi e garantirne in questo modo l’esistenza.
Lucia Serafini
(Dipartimento di Architettura, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara)
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