Delitto di Cogne 20 anni dopo, la memoria collettiva di un incubo
Il sipario strappato delle certezze, a cura della Dott.ssa Alice Mignani Vinci - Assistente sociale, Criminologa Forense, Pedagogista, Esperta in criminologia applicata ai sex offenders e pedagogia della devianza

Delitto di Cogne: Storia, Eredità e Misteri di un Caso Irrisolto
Ci sono storie nere, delitti e tragedie che si incidono indelebili nella memoria collettiva di un paese, nelle coscienze di massa, quadri e istantanee che divengono amaro patrimonio culturale, così come ci vengono narrati e fotografati dai media. Luoghi e attori di un incubo umano che entrano nella nostra vita, fin quasi a divenir familiari; volti che non dimentichiamo, storie indelebili, protagonisti della narrazione imperitura.
Cosa accadde il 30 gennaio 2002?
Il delitto di Cogne appartiene a tutti gli effetti ai grandi casi nella cronaca nera volti a segnare la storia, un po’ come fu il delitto del Circeo, spartiacque storico nel ’75, emblema e simbolo di complessi risvolti sociali e politici. Cogne, la casetta sulla montagna, il bimbo martoriato, la madre assassina che si professa innocente. 30 gennaio 2002, vent’anni dopo, quale eredità ci lascia questo truce affresco di ordinaria follia?
Annamaria Franzoni: La Madre Assassina?
Annamaria Franzoni, riconosciuta colpevole dell’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi nel 2008, ha scontato la pena e oggi è una donna libera.
La famiglia, la madre, il nido degli affetti, il calore di una casetta sulla montagna, i simboli rassicuranti squarciati dal delitto, dalla violenza inferta sul piccolo e indifeso corpo di un bambino reo di essersi trovato al centro dell’abisso di un impeto di follia, in un attimo di orrida catarsi che ne ha determinato per sempre il distacco dalla vita che sarebbe stata, dalla parabola di un futuro possibile, della crescita, dei sogni che sarebbero stati.
“Avevano comportamenti…più che normali. Senza alcun eccesso. Era, una famiglia normale, molto legati ai figli, molto premurosi. Erano in armonia tutti e quattro…” (parole di Crudo Ettore, amico di Stefano Lorenzi)
La Famiglia Lorenzi: Un Quadro di Apparente Normalità
Le impressioni sulla famiglia Lorenzi, da parte di chi li guardava dall’esterno, lo sguardo su un quadretto familiare, di equilibri e controllo, che mai poteva far presagire quanto accadde quella sciagurata mattina del 30 gennaio 2002.
Per questo il delitto di Cogne rappresenta emblema della certezza che si infrange, per questo si è impresso nelle memorie e coscienze, perché rappresenta il fallimento, l’infrangersi sconcertante della culla del conforto, dell’apparenza, della figura di madre inappuntabile, esteriormente perfetta. Rappresenta, volgendo la mente alle riflessioni di Nietzsche, quello sguardo sulle incrinature di un abisso che vorremmo rifuggire, e ci rende più vicini alle degenerazioni delle nostre pulsioni e ai nostri tormenti: “E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”.
“Non sono un’assassina e non sono pazza. Sono soltanto una madre”: lei, Annamaria Franzoni, la madre che sempre, fino all’ultimo, fin al definitivo grado di giudizio si è professata innocente con quella voce rotta da un pianto controllato, mai lasciatasi andare sotto i riflettori a perdite di controllo o irascibilità che l’avrebbero connessa allo scenario in cui fu trovato il piccolo Samuele, in un lago di sangue.
Una donna dal volto aggraziato, una figura che non incute paura, ma anzi è lo specchio di una normalità rotta e dissacrata. E’ questa la sconcertante e mesta eredità che ci ha lasciato il delitto di Cogne 20 anni dopo: lo stravolgimento dei ruoli tradizionali, rassicuranti, universali, lo sfregio delle certezze legate alla famiglia culla e nido di quotidiana e rassicurante affettività, il riflesso puro di ciò che può essere dietro le parvenze di equilibrio, un male che può entrare nelle nostre vene e giornate, mettere in dubbio e sfumare la linea di demarcazione che conduce all’azione delittuosa.
L’Eredità del Delitto di Cogne
L’eredità che ci lascia il delitto di Cogne è di aver adombrato in modo indissolubile le confortanti sicurezze sulla famiglia come rifugio e luogo di riparo dalle violenze del mondo esterno, ha messo in crisi i nostri modelli educativi, là dove un bimbo di tre anni ha corso il rischio maggiore tra le mura domestiche, da parte di colei che con braccia materne, nella narrazione storica è deputata all’accudimento, alla protezione.
E’ uno di quei delitti che rimarrà eternamente irrisolto nelle coscienze, nell’elaborazione, oltre le certezze che depongono a favore della colpevolezza o l’analisi esatta che riguarda l’aspetto meramente tecnico di quanto accaduto: il delitto di Cogne è irrisolto nel suo riflettere l’abisso di un atto che va oltre quanto possiamo accettare, è un affresco di orrore che il pensiero non riesce a interiorizzare.
Dott.ssa Alice Mignani Vinci
Mail: alicev88@outlook.it Pec: alicemignani@pec.it
Recapito telefonico: 328 905 1659
Delitto di Cogne 20 anni dopo: la scena del crimine, analisi di un incubo.
“A cura del Dott. Alessio Poggi – Giurista, Dottore in Criminalistica, Esperto in impronte digitali e tracce ematiche“
Vorrei introdurre il mio intervento rispondendo alla domanda della stimata collega Alice Mignani, la quale chiede quale eredità ci lascia quello che lei descrive come un “truce affresco di ordinaria follia“, per rendere più dolce la morte di un piccolo infante. Tale omicidio rappresenta un esempio del fenomeno del cast-off, il quale ci fornisce informazioni importanti circa le posizioni assunte dalla vittima e dall’aggressore durante l’azione omicidiaria. Solitamente una distribuzione da cast-off, mostra la presenza di tracce che hanno tutte la medesima direzione, ma con verso opposto, il quale corrisponde al brandeggio dell’oggetto dall’avanti all’indietro e viceversa.
L’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, avvenne il 30 gennaio del 2002 e fu uno dei più importanti casi di studio e dell’applicazione della BPA a un evento delittuoso efferato. La BPA fu utilizzata già in precedenza per la risoluzione di omicidi, come nel duplice omicidio di Novi Ligure, dove mediante la BPA fu possibile ricostruire la dinamica delle diverse fasi di quel massacro familiare.
Il caso di Cogne però, sta più a cuore agli amanti e agli esperti di BPA, perché la sua applicazione consentì di pervenire a una precisa e fedele ricostruzione degli eventi che non sarebbe stata possibile ottenere diversamente. Al lavoro svolto sulla scena del crimine, si affiancò una scrupolosa sperimentazione fatta dai RIS di Parma (immagine 1), su una stanza da letto pressoché identica a quella dove era stato compiuto il massacro del piccolo Samuele, considerato un caso d’infanticidio.
Dalla ricostruzione pervenne che le macchie di sangue riguardarono non solo le pareti della stanza o il soffitto, ma anche i suoi arredi, il pavimento, il piumone, il pigiama e gli zoccoli della signora Franzoni. L’elemento decisivo per la ricostruzione della dinamica, necessario per capire la posizione dell’assassino mentre colpiva il piccolo Samuele, oltre alla porta d’ingresso e al piumone è stato il soffitto della stanza da letto. Sul soffitto furono ritrovate delle classiche tracce da forza centrifuga cast-off, che unitamente all’area di vuoto sul piumone, hanno consentito di stabilire che per gran parte dell’aggressione, l’omicida, era inginocchiato sul letto e fronteggiava la vittima.
Era il 30/01/2002 e circa le 08.28 del mattino quando Annamaria Franzoni chiamò il 118 riferendo, all’operatrice Calipari Nives, che il piccolo figlio di tre anni, Samuele Lorenzi, vomitava sangue dalla bocca. Intorno alle ore 08.51 giungeva presso l’abitazione della Franzoni, una villetta isolata nella piccola frazione del comune di Cogne, l’elicottero della protezione civile.
Sul luogo erano presenti la vicina di casa Ferrod Daniela, il medico psichiatra Satragni Ada, il suocero della Satragni di nome Savin Marco e infine, alcuni curiosi. Il corpo del bambino, durante l’intervento dell’elicottero, era posto all’esterno della casa, su un giaciglio appositamente ricavato. Era stato portato fuori dall’abitazione, e precisamente dal letto matrimoniale della camera dei genitori, dalla Satragni, la quale aveva agito su ordine di Piffari Antonello, operatore del 118.
La stessa Satragni, appena intervenuta per rendere meno penosa alla madre la vista del bambino, che giaceva collassato in una pozza di sangue e perdeva materia cerebrale, badava a lavarsi le mani, praticando in seguito un’iniezione di cortisone al bimbo. Il medico in servizio a bordo dell’elicottero, il dott. Iannizzi Leonardo, trovò dunque il bambino poggiato a terra sopra il marciapiede antistante alla casa, sopra il cuscino e avvolto da una coperta.
Fu la Satragni, all’arrivo del medico, a scoprire una lesione sulla fronte del bimbo, che aveva badato a tamponare, e che lo stesso medico descrisse come una lesione dai bordi netti, ampia e con materiale cerebrale fuoriuscente. Sempre lo stesso Iannizzi, entrando poi nella stanza da letto, si trovò davanti ad una scena impressionante. Sul letto era presente anche una bacinella contenente acqua frammista a sangue.
Una volta chiesto alla Franzoni se il figlio fosse caduto, e ottenendo un esito negativo a tale domanda, il dott. Iannazzi ipotizzò un’implosione del cervello, anche se questo evento è teoricamente improbabile nei bambini poiché non si è ancora saldato il cranio. Furono comunque applicate le prime cure al bambino, inserendo una cannula di Gruedel nel cavo orale in modo tale da evitare la retroflessione della lingua e gli fu somministrato ossigeno.
Alle 09.19 il bambino fu caricato sull’elicottero e giunse all’ospedale alle ore 09.47. Solamente otto minuti dopo, alle ore 09.55 fu costatato il decesso da parte del dott. Bellini, il quale dichiarava che la morte era sopraggiunta per “un trauma cranico maggiore con ferite verosimilmente di natura da punta e taglio, regione frontale destra e regione fronte-orbitante sinistra e regione parietale destra e sinistra, con sottostanti sfondamenti ossei e pluriframmentazioni e affossamento degli ossi frontale e parietale destra e sinistra, con perdita di sostanza parenchimale cerebrale”. Inoltre, l’esame autoptico, rilevò altre diciassette ferite lacero-contuse al capo. SI TRATTAVA DUNQUE DI UN OMICIDIO!
La scena del crimine fu modificata sin dall’inizio. Bisogna ricordare che il corpo del piccolo Samuele fu portato fuori dalla stanza da letto dove era stato ucciso dalla dott.ssa Satragni, lavandolo sul letto dove fu posta una bacinella visibile anche nelle fotografie scattate nell’immediatezza (immagine 2) e nonostante non si fosse resa conto da subito che si era alla presenza di un fatto delittuoso. A prescindere da questo fu comunque possibile trarre alcuni elementi utili al fine della decisione.
Fu sequestrata, misurata e fotografata la stanza, dove il piccolo era stato ucciso. Fu sottoposto a sequestro e sottoposto ad analisi tecniche il piumone che si trovava sul letto e fu sequestrato un pigiama, composto di giacca e pantaloni, e un paio di zoccoli che si trovavano nell’antibagno. Sugli zoccoli, e ancor di più sul pigiama si è discusso ampiamente in contraddittorio tra le parti, perché fu di fondamentale importanza rilevare se l’autore del reato indossasse tutti o solamente alcuni dei suddetti capi d’abbigliamento.
Per l’accertamento delle tracce ematiche sul pigiama (immagine 3) fu nominato come perito il dott. Schmitter. Egli affermò che il pantalone del pigiama fu certamente indossato durante il compimento del delitto dalla Franzoni, mentre in merito alla casacca non poté esprimere certezza, dichiarando di propendere per la tesi negativa.
Per determinare che a essere indossati fossero i pantaloni e non la casacca, il perito applicò il metodo scientifico della Bloodstain Pattern Analysis, la quale consente di accertare la direzione di provenienza degli schizzi, mediante lo studio delle dimensioni, delle forme e delle altre caratteristiche delle macchie di sangue.
Nel caso di specie il perito individuò sul soffitto della stanza delle chiare tracce di cast-off, ossia le tracce derivate dal brandeggio dell’arma del delitto. Queste sono macchie facilmente riconoscibili, perché più piccole e caratteristiche, essendo prodotte da un movimento centrifugo. L’assassino, per l’effetto, va posto in corrispondenza del punto del soffitto ove si notano le tracce di cast-off. Inoltre sul piumone fu riscontrata una zona di circa 1600 cm² privi di macchia, denominata zona d’ombra.
Di là del primo colpo, che non lascia tracce di cast-off, gli altri sedici devono comunque essere stati inferti dall’assassino inginocchiato sul letto in corrispondenza della zona di piumone priva di macchie di sangue. Nei pantaloni del pigiama furono individuate piccole macchie di sangue che non si trovavano nella zona d’ombra del piumone, dove si presume fosse posta la Franzoni.
Ciò fece desumere che fosse del tutto impossibile che il pantalone del pigiama fosse poggiato in quella parte di superficie del piumone, senza essere indossato, poiché le macchie si sarebbero formate anche nelle zone del piumone circostanti il luogo di appoggio del pantalone non indossato.
Il pantalone in tal caso avrebbe costituito la barriera tra la fonte di sangue, ossia il piccolo Samuele, e il resto del piumone. Nel piumone non furono presenti altre zone d’ombra a significare la presenza del pantalone del pigiama della Franzoni e, inoltre, non si trovò nemmeno la presenza di macchie simili a quelle presenti nella superficie del pigiama.
Si terminò, in sintesi, che:
- La posizione delle tracce di cast-off sul soffitto indicavano con certezza la posizione della Franzoni, in posizione sottostante rispetto a tali tracce;
- In corrispondenza delle tracce di cast-off fu ritrovata una zona d’ombra sul piumone, abbastanza ampia da permettere l’appoggio di una persona inginocchiata, intenta a colpire la vittima;
- I pantaloni del pigiama era impossibile che fossero in un qualsiasi punto della superficie del piumone, perché non furono trovate altre zone d’ombra indicative a riguardo;
- I pantaloni non si sarebbero potuti trovare nell’unica zona d’ombra ritrovata nella superficie del piumone, perché le macchie ritrovate sui pantaloni erano dissimili da quelle ritrovate sul piumone.
La sentenza incensurabilmente argomentò circa la “particolare competenza nella specifica disciplina” (art. 221, co. 1, c.p.p.) riconosciuta al perito dr. Schmitter e circa le sue comprovate referenze, fornendo adeguata giustificazione dei criteri seguiti per la nomina.
Sulla base dei risultati della perizia, minuziosamente e analiticamente valutati alla luce di tutte le obiezioni e riserve dei consulenti della difesa, i giudici di Appello pervennero alla conclusione, condividendo l’opinione del primo giudice, che le indagini effettuate con impiego della BPA avessero consentito di acquisire la certezza processuale (risultato di prova) della circostanza che l’assassino sicuramente indossasse, durante l’esecuzione dell’azione omicidiaria, i pantaloni del pigiama appartenente alla Franzoni e che quindi si trattasse di un omicidio commesso da parte della madre.
Dott. Alessio Poggi
Mail: alessiopoggi91@gmail.com
Recapito telefonico: 329 962 3450
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